appoggiarsi solo ad una persona, che è di esempio ed è oggetto di ammirazione. Di qui l’accoglienza
aperta e cordiale della religione cristiana nei tempi in cui la virtù pubblica dei romani stava sparendo ed
era in decadenza la grandezza esterna. Perciò quando dopo secoli l’umanità è di nuovo in grado di
avere idee, l’interesse per l’individuale sparisce, e se pur rimane l’esperienza della corruzione degli
uomini, la dottrina della abiezione dell’uomo va scomparendo, e ciò che ci rendeva interessante
l’individuo affiora esso stesso come idea della sua bellezza e, pensato da noi, diviene ‘nostra proprietà’.
Ed il bello della natura umana, che noi stessi ponevamo nell’individuo a noi estraneo in quanto
trattenevamo di essa solo tutte le cose disgustose di cui è capace, viene di nuovo con gioia conosciuto
da noi come nostra opera, ce ne appropriamo, imparando perciò a sentire rispetto per noi, mentre prima ci
credevamo solo oggetto di disprezzo.
Nella vita privata l’amore alla vita, i suoi agi, il suo abbellimento doveva essere il nostro più alto
interesse. (Il che, portato a sistema di saggia avvedutezza, formava la nostra moralità); ora invece che
idee morali possono trovar posto nell’uomo, quei beni perdono valore; non sono più ritenute come
ottime quelle costituzioni che garantiscono solo vita e proprietà e superfluo diviene l’intero angoscioso
apparato, l’artificioso sistema di ‘impulsi’ e ‘consolazioni’ in cui tanti uomini deboli trovano ristoro. Il
sistema della religione, che ha sempre assunto il colore dell’epoca e delle costituzioni statali la cui più alta
virtù fu l’umiltà, la coscienza della propria impotenza, che aspetta tutto, e in parte perfino il male,
dall’esterno, ora avrà una propria vera e autonoma dignità”.
Hegel, Religione popolare e cristianesimo, frammento n.5 (secondo la numerazione data dal Nohl), in op. cit.,
p.125
Commento
Il primo testo riportato qui sopra corrisponde al primo, nell’ordine dato da Nohl, della serie di frammenti
che formano l’opera giovanile hegeliana: “Religione popolare e cristianesimo”; esso fu redatto a
Tubinga nel 1793, poco prima che Hegel si trasferisse a Berna, dove invece compose tutti gli altri. Tra
tutti i frammenti vi è tuttavia, malgrado qualche apparente ‘digressione’ messa esageratamente in
evidenza dalla critica, una grande continuità per quanto riguarda il contenuto che ruota intorno al
problema e alla domanda che Hegel pone circa “l’essere la religione cristiana una religione popolare” o
meno.
In questo primo frammento Hegel, dopo aver accennato all’importanza che la religione riveste nella vita
dell’uomo connessa com’è, di fatto, con tutti gli aspetti della vita quotidiana, procede alla prima
importante affermazione: e cioè che la religione si innesta “su un bisogno naturale dello spirito umano”:
e con ‘bisogno naturale’ è da intendersi il bisogno morale.
Al fondamento della religione è dunque, sulla scia di Kant e dell’Illuminismo, l’esigenza morale. Ma
subito dopo l’argomentazione hegeliana sembra allontanarsi da Kant e dalla filosofia illuministica
sostenendo l’insufficienza della ‘ragion pratica’ nelle questioni religiose e le idee della ragione restano sì
importanti perché animano moralmente la ‘sensibilità’, ma queste valgono infinitamente meno rispetto
ai beni e alla purezza del cuore. Quindi la ‘pura ragione’ si mostra inadeguata non solo a dar vita al
comportamento morale, ma a maggior ragione è inadeguata ad animare la ‘vita religiosa’.
Di qui la contrapposizione tra ‘religione razionale’ e religione come “fatto del sentimento” e di
un’aspirazione alla felicità non riconducibile agli astratti principi dottrinari dell’intelletto e la
conseguente contrapposizione, di stampo fichtiano (leggi nota n.3 a p.8 nella parte dedicata all’esame
generale del contenuto dei singoli scritti), tra religione e teologia e la polemica hegeliana contro “la
saccenteria dei teologi” e contro gli aspetti esteriori del culto che non fanno riferimento al cuore
dell’uomo.
Hegel rivaluta insomma il posto che nella religione spetta alla sensibilità, sia essa intesa come
‘immaginazione’ o come ‘sentimento’, come ‘ fantasia o come ‘impulso’. È la ‘religione vivente’
hegeliana, in cui trovano un luogo la preghiera, il sentimento di umiltà e di riconoscenza verso Dio,
l’unica che interessa ad Hegel; è la religione che coinvolge l’intero popolo e non solo il singolo
individuo e che non si esaurisce in atti formali ed esteriori, ma è parte viva del tessuto sociale.
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