GRANDE CUCINA 02-2025 | Page 52

GrandeCucina per Debic I

IN CUCINA SI GUARDA“ OLTRE”

Cosa vuol dire essere un giovane chef oggi? Ce ne parla Gabriel Collazzo, Executive Chef dell’ Hotel Ca’ di Dio, raccontando dell’ importanza della formazione, dello studio, ma anche dell’ attenzione estrema alle materie prime, che – come nella filosofia di Debic – devono essere in grado di soddisfare i requisiti tecnici e di sapore richiesti dai professionisti
a cura della redazione
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Nuovo( giovanissimo) Executive Chef dell’ Hotel Ca’ di Dio a Venezia, vincitore del prestigioso Grande Cucina Talent Prize – riconoscimento assegnato ai migliori chef emergenti italiani-, Gabriel Collazzo, classe 1999, oggi mette nel piatto una cucina che lui stesso definisce“ Nouvelle Cuisine Lagunare” in cui il giusto equilibrio fra materia prima locale e tecniche contemporanee danno valore a ogni ingrediente. Caparbio, con tanta voglia di mettersi in gioco, per chef Collazzo la cucina è studio, è sfida continua, ma soprattutto il guardare“ sempre oltre”.
Quanto conta la qualità dei prodotti nella costruzione di un piatto? Il mio concetto di cucina parte dalla Francia, dove ho trascorso un lungo periodo di formazione. Guardo a Alain Ducasse, a Alexandre Mazzia e traggo ispirazione per costruire quel concetto di“ novelle cuisine” dove il punto focale del piatto si concentra sulla materia prima, stagionale, fresca, di buona qualità. A partire da elementi essenziali come un olio, un burro o una panna, che scelgo per gusto e capacità tecnica. In Debic ho trovato prodotti che si adattano al mio modo di cucinare, ad esempio la panna, cremosa e in grado di sostenere la corposità nel piatto, perfetta nel risultato anche nella variante senza lattosio, che mantiene un gusto pieno, fresco e naturale. Lo stesso accade per il burro: Debic Burro Tradizionale è morbido e plastico, ideale in qualunque tipo di lavorazione, dal gusto delicato ma intenso.
Tu sei giovane e talentuoso: quanto è importante puntare in alto? Parto da un concetto molto semplice: il movimento. Esattamente come la cucina, che si compone materie prime che variano nel tempo, di cui noi chef siamo“ le mani” che le trasformano. Con la stessa mobilità vedo il mio percorso lavorativo, dopo Grande Cucina Talent Prize, ho partecipato a San Pellegrino Young Chef Academy, dove ero il partecipante più giovane, e poi c’ è questa nuova importantissima sfida a Ca’ di Dio con il ruolo di Executive Chef: tutte queste esperienze sono opportunità.
Come è la genesi di un tuo piatto? Un giorno un giornalista francese mi ha detto:“ quando crei un piatto scordati i concetti base, ma rispetta la tua mano” ed è quello che cerco di fare. Quando costruisco un piatto penso a quale sia la materia prima che voglio mettere in luce, quali gli abbinamenti, strutturo la ricetta partendo da un elemento e poi ne aggiungo altri, che hanno la funzione di rispettare sempre“ il protagonista” come fossero una cornice.
Il ricordo o l’ esplorazione di nuovi mondi, cosa c’ è nelle tue ricette? Un po’ di tutte e due: anche se sono
giovane, porto nella mia cucina i ricordi dell’ infanzia, mia nonna che cucinava per i salesiani, il ristorante di mio fratello, i sapori messi in tavola da mia mamma. Uno dei miei ricordi più belli è fare la pasta alle 5 della mattina con mia nonna e, inutile dirlo, il mio piatto preferito sono i Gran ravioli di ricotta e pomodoro di nonna Carmela! Poi, in una ricetta deve esserci sempre una componente di curiosità, la voglia di esplorare nuove materie prime, nuove tecniche, nuovi abbinamenti.
Raccontaci un po’ del tuo percorso Alla fine della seconda superiore, invece di passare l’ estate al mare, sono andato in Francia nel ristorante di mio fratello, per imparare il mestiere e una nuova lingua. Ho passato 3 estati da lui e ho provato ruoli diversi, ho fatto il cameriere, il pizzaiolo e poi sono entrato in brigata... ed è dopo quell’ esperienza che ho deciso di continuare la mia formazione in Francia. Sono entrato al Nama, un Wine Restaurant di cucina fusion franco-giapponese, dove ho imparato nuove tecniche e un nuovo modo di interpretare il cibo. Dopo due anni sono rientrato in Italia, a Lo Zafferano di Arezzo, e da lì mi sono buttato in un’ avventura più grande di me. Una sera sono andato a cena