CHEF & PRODUTTORI
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cucina senza praticarla non gli sarebbe bastato. E allora, scuola dal lunedì al venerdì e lavoro nei fine settimana. « Per me, l’ Alberghiero( Istituto Gianni Brera di Como ndr) non è stata una scelta di risulta, come si sente dire spesso. Per me era una passione da seguire, una continua competizione con gli altri e con me stesso. Lavorare nelle cucine era un modo per aumentare la conoscenza, anche se quello che imparavo non mi bastava mai. Spendevo tutti i soldi che guadagnavo in libri e coltelli ». Un passo dopo il diploma, Davide va a Londra, dove si ferma un anno nelle cucine stellate del ristorante italiano Il Semplice. E quando torna a casa per lavorare a I Tigli di Iago, incontra Ambra Sberna, sua attuale compagna di vita e di lavoro( direttrice di sala). Il tempo di innamorarsi e di nuovo a Londra, tra Gordon Ramsay, Le Gavroche e l’ Apsleys di Heinz Beck. Poi uno stage al Noma e un periodo forzatamente breve( menisco) all’ Enoteca Pinchiorri. Prima volta da chef, all’ Acquadolce di Carate Urio. È il 2015. L’ anno dell’ incontro con Fabio Bulgheroni. « Mi è sempre piaciuto andare a far la spesa al mercato coperto di Como, dove c’ è uno spazio importante destinato ai produttori locali. Ho assaggiato i suoi caprini, abbiamo cominciato a parlare. Non ci siamo più mollati ». |
Da passione a produzione
Lui, Bulgheroni, quarantenne di Binago, campagna tra Como e Varese, è diventato casaro“ per una questione personale”. Famiglia apparentemente distante dal mondo gastronomico. Il padre si occupa di macchinari movimento terra, Fabio lo segue in scia con gli studi in ingegneria meccanica e lo affianca nel mestiere. Ma se il lavoro è lavoro, la passione alberga altrove. « Sono cresciuto in una specie di piccola arca di Noè, con mucche, capre, galline... Poco più che una stalla amatoriale. A un certo punto abbiamo deciso di trasformare la passione in attività produttiva a tutti gli effetti, utilizzando i terreni che ci aveva lasciato il nonno. Per cominciare, ci siamo procurati una trentina di capre e abbiamo battezzato l’ allevamento Casale Roccolo, come il nome della via dove sono nato. Pensavamo di poter percorre entrambe le strade contemporaneamente ». Era il 2006. Ma il sogno si infrange sulla malattia della compagna del padre, Enrica Bosetti, che tanto si era dedicata al nuovo progetto. Quando muore, Fabio ne fa, appunto, una questione personale. « Ho deciso di continuare, perché non mi sembrava giusto abbandonare la costruzione del sogno. E allora ho cominciato a studiare. I corsi ti insegnano che c’ è un liquido, che si chiama latte, e non molto altro
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. Mi mancava tutto il resto … Ho dovuto mettermi sui libri di chimica, ho impiegato quattro, cinque anni per capire com’ era il latte delle mie capre, codificare gli elementi alla base di un buon allevamento: alimentazione, pulizia, costanza dei processi, tempi di produzione, a cominciare dal fatto che |
gli animali hanno bisogno di almeno dodici ore di montata lattea per fare un buon latte! Ci siamo divisi il lavoro, altrimenti non avremmo retto. Le imprese famigliari si basano su equilibri che vanno rispettati. Mio padre Aldo, che è un vero personaggio, si è dedicato all’ allevamento, mentre la sorella |