Gli approfondimenti di DanzaSì Fabrizio Monteverde | Page 3

ricordo del Bolero di Bejart, a mio avviso insuperabile! Vedendo quel film invece ho trovato una possibilitˆ di lettura diversa. Mi affascinava molto lÕidea della gara di ballo, il ballo estenuante che porta addirittu- ra alla morte. Mi piaceva lÕidea di una gara fino allÕultimo respiro, fino alla morte. Un poÕ la gara della vita in un certo senso, e lÕho trovata giusta per il mio Bolero. Giusta perchŽ si con- trapponeva esattamente alla musica: tanto la musica sale, nel Bolero, e tanto  ripetitiva, quanto invece nella mia versione i danzatori in scena diminuiscono. Quindi allÕapice del parossismo della musica, solo un danzatore rimane sulla scena. Lei  definito da molti Òautore coltoÓ. Ha rispreso grandi titoli del balletto, della letteratura e del tea- tro rileggendoli in modo geniale. Partendo dal suo primo lavoro Bene Mobile dellÕ Ô84 tratto dal racconto Poltrondamore di A. Savinio, pu˜ dirci se cՏ nelle sue creazioni un ele- mento sempre uguale al quale  dif- ficile per lei rinunciare? Ricordo che per Poltrondamore, la mia versione si chiamava Bene Mobile, io scrissi nella presentazione solamente due righe: Ò EÕ impossibile per me raccontare lÕamore. Lo  un poÕ meno lÕamore impossibile Ó. Forse questa frase mi condanna a ripercor- rerne il senso in ogni creazione. 14 Secondo lei la qualitˆ indispensabile di un danzatore contemporaneo dovrebbe risiedere nella fisicitˆ, nella tecnica o nel temperamento e quindi anche nel vissuto? Se si potesse fare un cocktail non sarebbe male! Molto spesso la tecnica viene lasciata in secondo piano rispet- to alla fisicitˆ e al temperamento. Sono del parere invece che il danzato- re contemporaneo, quanto quello classico, abbia bisogno di molta tecni- ca. Il corpo va costruito con la tecnica ed  con questa che si raggiunge lÕenergia giusta del movimento. Chiaramente anche il vissuto, il tempe- ramento e la sensibilitˆ hanno il loro peso nella formazione di un danzatore poichŽ la tecnica fine a se stessa  algi- da, fredda e quindi poco comunicativa. Sono convinto che tutti quanti possa- no danzare, ma non tutti possono farlo professionalmente senza una solida base di studio. La qualitˆ che pi cerco nel ballerino  la duttilitˆ! Voglio sen- tirmi nella possibilitˆ di richiedere allo stesso danzatore un ÒarabesqueÓ e un rotolamento a terra, dopotutto il corpo del danzatore  lo strumento principale del coreografo! Nel suo percorso professionale quali sono stati gli incontri personali ma anche contesti vissuti pi significati- vi? Mi viene da pensare agli Òincontri let- terariÓ. Di buona letteratura ce ne  Balletto di Roma "Il lago dei cigni, ovvero Il Canto" (©Matteo Carratoni) tanta, non tutta trasformabile in danza ma quello che mi ha colpito lÕho sempre messo in scena. Ad esempio, pensando a Shakespeare, lo metterei in scena tutto! Ho vissuto una svolta quando ho visto per la prima volta Pina Bausch qui a Roma, negli anni ottanta. Mi ha fatto comprendere tantissime cose, mi ha aperto un mondo differente, ha fatto girare, curvare la mia strada. LÕincontro con Cristina Bozzolini, allÕepoca al Balletto di Toscana,  stato fondamentale per me. Il fatto che abbia dato fiducia ad un giova- notto tatuato che arrivava da una compagnia neoclassica dandogli completamente carta bianca.... UnÕ avventura durata ventÕanni che ha cambiato la mia vita. Mi ha fatto con- frontare con danzatori dalla forma- zione completamente diversa dalla mia. Tutto ci˜ mi ha insegnato a cam- biare e adeguare il mio linguaggio. Ognuno di noi  la somma di tante memorie, di tanti incontri e di tante avventure. Un ringraziamento particolare a Claudia Celi Docente allÕAccademia Nazionale di Danza di Roma e allÕ Universitˆ La Sapienza di Roma e a Laura Martorana, docente allÕAccademia Nazionale di Danza di Roma, assistente di Fabrizio Monteverde nella coreografia Bolero, per il corpo di ballo dellÕAccademia.