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territorio a principio Junii usque ad finem Octobris maxima fuit pestis in Comitatu Arci ita ut de quinquaginta partibus , vix quinta remanserit », ossia : « In quest ’ anno 1630 dall ’ inizio di giugno fino alla fine di ottobre ci fu una fortissima pestilenza nel contado di Arco al punto che di cinque parti ( degli abitanti ), a stento ne rimase la quinta ». Collegando quanto segnalato nelle due annotazioni e facendo i dovuti calcoli , si evince che nel contado di Arco ( comprensivo delle comunità di Arco , Oltresarca , Romarzollo e Dro e Ceniga ) vi erano circa 3.750 abitanti di cui sopravvissero solo 750 persone . Dati che lasciano sbigottiti e quasi increduli , ma che vengono confermati da altri riferiti a territori vicini . Scrive ancora padre Tovazzi : « 1630 [...] A Trento inoltre la peste fu tanto crudele da lasciare quasi deserta la città . Iniziò nell ’ anno 1629 e continuò anche nell ’ anno 1631 . Si propagò anche attraverso la diocesi . Nello stesso anno a Rovereto in Vallagarina ci fu una tale carestia , che un uovo costava sette soldi ed un tordo trentacinque soldi . I poveri annoveravano tra le delizie la crusca e le verdure crude . I morti , il cui numero si ritiene fosse di circa settanta ed oltre al giorno , vennero seppelliti nelle ghiaie del Leno senza i riti funebri ». Alla pestilenza si accompagnava quindi la mancanza di cibo ; adesso , fortunatamente , esistono interventi dell ’ Ente pubblico , sia nazionale che locale , e di organizzazioni umanitarie ( in primis la Caritas ) che aiutano chi è senza cibo . E il ricorso a fosse comuni è soluzione che anche in questi mesi abbiamo visto applicata in qualche nazione . Tra chi si dedicò alla cura dei malati di peste con grande spirito di dedizione ci furono anche i frati cappuccini del convento di San Lorenzo a San Martino di Arco . Ben sei di loro , ad imitazione di quanto accade a fra ’ Cristoforo ne “ I Promessi Sposi ”, trovarono la morte a causa del loro servizio agli appestati . Fra di loro vi era il padre guardiano Daniele da Ala , e due chierici , Giampaolo da Massone e Daniele da Caprino . Nel 1630 , come in questi mesi , chi si è dedicato alla cura dei malati ha talvolta pagato con la vita questa generosa dedizione . quali un quarto di miglio sotto Ceniga tirarono un cordone ponendovi delle guardie per impedire il passo a chiunque avesse voluto penetrare nel loro territorio ; dove poi fecero alzare sulla Via pubblica un gran Capitello dedicato alla Beata Vergine Maria ed ai SS . Rocco e Sebastiano , il quale ancora sussiste , e visitasi ogni anno nel giorno di S . Rocco , chiamandosi anche oggidì il Capitello delle Guardie ». Un ’ altra alternativa meno violenta era la “ contumacia ”, ossia la quarantena . Si obbligavano cioè le persone sospette a soggiornare presso un luogo esterno alla comunità onde verificare eventualmente il manifestarsi del contagio . Durante la pestilenza del 1627 , sviluppatasi in alcune regioni dell ’ Europa centrale e soprattutto in Baviera , gli amministratori pubblici di Arco scelsero l ’ eremo di San Paolo , nei pressi di Ceniga , come luogo di « contumacia dal mal contagioso » per i forestieri che provenivano da quelle zone . Anche in questi mesi la quarantena è stata una disposizione applicata per molti malati di coronavirus e per i loro familiari , laddove il loro stato di salute non richiedesse il ricovero in ospedale .
Il Capitello delle Guardie a Ceniga che ricorda il cordone sanitario effettuato nel 1630 .
Il cordone sanitario e la contumacia
Contro questa pestilenza molte comunità ricorsero a due tipi di difese , una fondata sulla fede , l ’ altra , molto più realistica , basata sull ’ isolamento . A Dro e Ceniga si applicò inizialmente quest ’ ultima e gli esiti furono più che positivi . Mons . Francesco Santoni , arciprete di Arco nella seconda metà del Settecento , ricorda che « la Comunità di Dro andò esente dalla peste : dovendosi ciò attribuire dopo la grazia di Dio alla vigilanza dei di lei Pubblici Rappresentanti , i
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