oltre la ricetta
MARCO VALLETTA,
LA CULTURA
IN CUCINA
La capacità di trasmettere
la propria tecnica e la propria
passione. Tra tradizioni
territoriali e sperimentazione.
M
arco Valletta non è solamente
uno chef di prim’ordine, ma anche un grande
esperto di cultura gastronomica. Oggi è una
testimonianza vivente di un patrimonio,
quello culinario, che oltre a identificare
un territorio ne detta anche il benessere.
Lo ha incontrato per i lettori di DENTROCASA
la brand manager di “Chefs for Life” Ljubica
Komlenic supportata, come di consueto,
dall’artista-fotografo Giovanni Panarotto.
A Marco Valletta piace autodefinirsi napo-
veneto perché nato appunto da papà
napoletano e mamma veneta. Originario
anch’egli di Napoli, si trasferisce negli
36
Stati Uniti nel 1984 e, al ritorno, fa diverse
esperienze in giro per l’Italia e l’Europa.
Ma chi era da bambino? “Ho fratelli molto
più grandi, quindi ho sempre dovuto
sgomitare per emergere. Una marachella che
ricordo in particolare? A 9 anni ho fumato
una sigaretta di mio padre e mia mamma,
quando mi ha scoperto, mi ha infilato
nella vasca da bagno in acqua fredda e me
le ha suonate. Per me è stata una lezione
di disciplina che mi sono portato dietro
per tutta la vita. Sono convinto che per
l’educazione dei bambini occorrono dei sì e
dei no pronunciati con assoluta fermezza”.
Come ti sei avvicinato a questa professione?
“Mi ritengo una persona fortunata che nella
vita è riuscita a seguire i propri
obiettivi. Ho amato la cucina
sin da piccolo, ma non
necessariamente nel senso
di preparazione di cibi. Mi ha invece sempre
affascinato l’aspetto dell’insegnamento,
il desiderio di trasferire ai giovani la mia
passione e la mia conoscenza. Non a caso
la mia soddisfazione più grande è che i
migliori chef di oggi sono stati miei allievi e
me lo riconoscono anche a distanza di anni.
Io adoro la cucina fatta con intelligenza,
curiosità e scientificità. Noi non facciamo
da mangiare, noi cuciniamo, interpretiamo
la cura delle materie prime, l’attenzione alle
tecniche di cottura e il rispetto dell’alimento.
Inoltre nel nostro lavoro sappiamo subito se
abbiamo fatto bene o male, nel senso che il
riscontro del cliente è immediato”.
Meno astrattismi e più rigore, quindi:
“Esattamente. Oggi in cucina l’arte prende
spesso il sopravvento sulle tecniche di
base, ma non ha senso fare i creativi senza
possedere i fondamenti adeguati. Giotto,
ad esempio, è diventato grande non solo
per talento naturale. Noi cuochi siamo
promotori di salute ed è importante fare in
modo che quello che prepariamo sia sempre
comprensibile per il nostro cliente. La ricerca
dell’accostamento particolare ci può stare,
ma se l’avventore non lo capisce, abbiamo
mancato il nostro obiettivo”.
Quanto conta la masticazione? “Un corretto
approccio al cibo è importantissimo.
Si riconosce se un cibo è succulento, o
anche se è stato cotto bene, proprio dalla
masticazione, da quanto sta in bocca prima
che se ne percepisca l’essenza: la bocca