basket, danza, mia madre
era in giro tutto il giorno per
accompagnarmi alle mie at-
tività e di questo gliene sono
immensamente grato. La mia
famiglia ha sempre supporta-
to tutte le mie scelte e mi ha
incoraggiato anche quando
non comprendevano esatta-
mente dove il mio girovagare
mi avrebbe condotto.
Della tua formazione che ri-
cordi hai?
Il lavoro importante che ho
potuto fare con Paolo Podini,
il mio insegnante all’Accade-
mia della Scala dove tutt’ora
insegna. Ci tengo a fare il suo
nome, perché a lui devo la
mia preparazione tecnica, il
suo insegnamento è stato fon-
damentale per me.
Credo di essere stato all’epo-
ca uno dei pochi a sceglie-
re di lasciare la Scuola della
Scala, non perché il lavoro
non fosse buono, tutt’altro, ma
sentivo che la direzione della
Prina incentrasse tutto sull’a-
spetto accademico e c’erano
poche possibilità di andare in
palcoscenico, o partecipare
ai Concorsi. Ora, sotto la di-
rezione Olivierì le cose sono
cambiate, l’aspetto artistico,
al quale io tenevo in partico-
lar modo, oggi ha un suo peso.
I ragazzi possono partecipare
a importanti concorsi e men-
tre con la Prina andavamo in
scena due volte l’anno, oggi si
fanno più spettacoli e questo
è un’opportunità importante
al fine di preparare al meglio
un danzatore.
Come mai dopo il diploma
la scelta di Zurigo? Tutti sono
passati a Zurigo, anche Fe-
derico Bonelli, coincidenza o
scelta precisa?
Non saprei dirti, in molti sia-
mo stati Zurigo. All’ epoca,
quando c’ era Heinz Spoerli, il
ricambio dei danzatori era tal-
mente rapido che la possibili-
tà di entrare in compagnia era
più alta rispetto ad altre real-
tà. Heinz licenziava la gen-
te dall’oggi al domani con le
più svariate motivazioni, l’an-
no che sono entrato io erano
cambiati sedici danzatori.
Immagino fosse molto esigen-
te.
Molto, ma per iniziare era l’i-
deale perché spesso il pas-
saggio dalla scuola alla
compagnia è un passaggio
delicato. Devo ad Heinz Spo-
erli la mia crescita dopo la
scuola, però anche io dopo
due anni sono andato via per
motivi personali e incompren-
sioni che poco avevano a che
vedere con la danza. Ho così
deciso di andare ad Oslo per
un anno. Sono ancora felice di
quella scelta perché ho lavo-
rato con molti coreografi.
E poi sei arrivato al Royal Bal-
let?
Si, mi avevano già proposto il
contratto per l’anno in cui ero
stato a Oslo, ma c’erano pro-
blemi che si sono risolti nel
2010 e così sono entrato. Oggi
sono primo solista.
Spiegaci un po’ la scala gerar-
chica dei ruoli, perché nelle
traduzioni dall’inglese all’ita-
liano si fa confusione.
Hai ragione, lo dico sempre,
è una posizione che confon-
de molti. Capita che i giornali
italiani riportino erroneamen-
te il mio ruolo scrivendo primo
ballerino. Sono appena sotto
il primo ballerino ma sopra il
solista, due terzi del mio lavo-
ro è come solista di primo cast
e per il resto ho ruoli di primo
ballerino.
Qual è ora il tuo rapporto con
l’Italia e che idea hai della no-
stra realtà?
Complicata. Come tutti i col-
leghi italiani che lavorano
all’estero anch’io aspiro ad
avere spazi nel mio paese.
Provo continuamente a fare
stage e da mesi penso ad un
mio spettacolo. Con il Rotary
Club di Firenze avevo prova-
to a proporre uno spettacolo
al Maggio affittando il Teatro,
ma il Sovrintendente, sotto
pressione per innumerevo-
li motivi, non prese in consi-
derazione l’opportunità. Ho
provato anche con Il Teatro
Grande di Brescia, città dove
sono conosciuto, proponendo
eccellenze di livello mondia-
le, con tutto esaurito che sa-
rebbe stato garantito, ma non
hanno usato la cortesia di una
risposta.
E’ necessario farsi introdurre
da qualcuno, devi appartene-
re ad un giro di persone che
abbiano le chiavi d’accesso
anche solo per essere ascol-
tato e sono in pochi ad avere
questo potere…
So che hai anche coreografa-
to…
Coreografo da 4 anni la com-
pagnia New English Ballet
Theatre di Londra. E’ una com-
pagnia che lavora 4-5 mesi
all’anno. La compagnia nasce
dall’esigenza di cimentarsi in
una realtà di passaggio tra la
formazione e il professionismo.
Un luogo dove giovani danza-
tori, musicisti, designer, coreo-
grafi acquisiscono esperienza
vicendevolmente.
Quale linguaggio utilizzi per le
tue coreografie?
Il mio genere è classico/neo-
classico. Spero veramente di
poter mostrare il mio lavoro
in Italia, ho avuto il piacere di
conoscere Roberto Giovanar-
di al quale ho dato tutto il mio
materiale in visione.
Qual è stata l’occasione per
cominciare?
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