suoi uomini presso Capo Malea, spingendoli oltre l'isola di Citera. Gli indigeni
accolsero bene i compagni di Ulisse e offrirono loro il dolce frutto del loto,
l'unico alimento di cui disponevano, che però causava la perdita della
memoria, quindi l'oblio.
Il testo scritto da Vito Pallavicini e da Michelle Vasseur descrive metafore
surreali che coinvolgono varie figure quali la donna, che mettendo il piede
sopra ad un cielo artificiale cade nel vuoto oppure il passero intento a volare
verso cieli veri o come il pesco, nel momento in cui fiorisce e mette dita rosa
dentro il blu...
I lotofagi moderni cercano nei loro inverni le “rose meccaniche”, in un
evoluzione tecnologia, che si prevede sempre più frenetica.
Ulisse è vicino ad arrivare alla meta, ma in questa “odissea” le sirene
incantatrici diventano dirottatori dalle facce brutte, come recitano i testi del
brano intitolato Dirottamento, che musicalmente dona qualche concessione
alla disco music imperante in quel periodo: “E pensare che un'ora sola e... ed
ero già a casa mia. E pensare che lo stesso sole è sugli alberi della mia via...
ecco sono qui, finalmente sono qui, sono qui...”.
Il mare è il protagonista anche del brano intitolato New York City, dove
tagliato in due da abbagli di neon, Ulisse alias Nessuno sente il vuoto della
grande mela; “Qui i montoni ci vengono tutti a sbattere uno ad uno, ma tu sei
New York ed io non sono “Nessuno”... Ho nella mente l'idea del mare, tu non
me la puoi levare; se chiedi di me, domanda di “Nessuno”. Qui la grande
mela è Polifemo il ciclope, da cui Ulisse vuole scappare, sentendosi tradito da
questa città: “... sparo nei fari, ti devo accecare, così io potrò scappare: al
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