lusso, a quel prezzo, richiederebbe almeno un po’ di supervisione, di controllo. A questa“ incuria” facciamo riferimento anche quando diciamo che ci sono dei problemi di colorazione. Non ci riferiamo allo stile: quello dipende dai gusti e molti lettori l’ hanno trovata ben fatta quanto altrettanti l’ hanno trovata non adatta. Ma come dicevamo, questo dipende dai gusti. Il problema nasce quando non si ha idea di cosa si stia colorando e un indios delle Everglades viene colorato quasi più pallido dei marinai spagnoli che lo soccorrono. Certo si può obiettare che i Calosa non sono poi così scuri quanto i Sioux e che i marinai spagnoli erano molto abbronzati. Questo però non salva la colorazione pallida del naufrago di pagina 126 del 3 ° albo, ma al massimo fa notare l’ errore di colorazione dei marinai che compaiono nella stessa pagina. E oltretutto è un“ errore voluto” che si ripete: gli indio sono pallidi quanto Prete Gianni a pagina 146 dello stesso albo. Ma ancora: dov’ è la cura editoriale di una ristampa, a sua volta di una ristampa, che“ perde” nei crediti i riferimenti ad un autore su tre? Ma se finora abbiamo parlato della cura editoriale cosa potremmo dire per quanto riguarda il contenuto dei volumi? Naturalmente nulla da obiettare: le storie di Martin sono belle e nostalgiche e gli editoriali di Castelli sono sempre interessanti, ben scritti, colti, azzeccati, pertinenti e per nulla noiosi. Ma che altro valore aggiunto porta questa ristampa ai lettori di vecchia data? Che altri doni regala ai nuovi lettori che si accostano a Martin Mystère per la prima volta? Non certo quello di riuscire ad appassionare l’ uno e accontentare l’ altro. Basti pensare alla scelta di dividere le storie in più volumi: nostalgica ma fuori luogo. Soprattutto quando la storia si ferma pochissime pagine prima della fine. E non reggono le scuse della lunghezza dei volumi dato che erano a lunghezza variabile; nè quella della fidelizzazione dei lettori, visto che da anni non è questo il modo di fidelizzarli; certo, c’ è la scusa della ristampa anastatica, ma già non lo era per la colorazione, tanto valeva fare un passetto in più. Infine ultima nota dolente sui redazionali di Luca Raffaelli, cui riconosciamo il merito di averne saputo scrivere davvero molti e variegati, ma alcuni dei quali non all’ altezza degli altri. Se dovevano esserci( e non era obbligatorio) potevano essere di tipo diverso, non così colloquiali né così fumosi al punto che spesso ci si chiede dove vogliano andare a parare. Inoltre l’ argomento è volutamente tenuto sui generis per non spaventare i nuovi lettori, ma facendo così i“ vecchi” non fanno altro che leggere cose scontate che già conoscevano( e spesso più approfonditamente); per contro chi non conosce Martin e il suo mondo si trova analogamente spiazzato da“ strani” scambi di battuta finto-giovanili che li confondono mancando loro le basi o la famigliarità che Raffaelli estende a tutti. Una cura editoriale appropriata avrebbe concentrato il lavoro di Raffaelli alla metà degli articoli, dandogli modo di scriverne di migliori magari con più tempo a disposizione, dando ad altri la possibilità di riempire di argomenti gli editoriali mancanti( non volendo citare i molti fan che avrebbero potuto e voluto scrivere articoli interessanti e professionali, vogliamo però almeno citare i collaboratori del defunto Almanacco del Mystero che quest’ anno non hanno potuto cimentarsi con articoli mysteriosi). Concludendo, la ristampa de L’ Espresso è stata una vera e propria occasione sprecata: era la ristampa che ci voleva, che il pubblico reclamava da tanto tempo, ma è stata fatta in maniera sbagliata, sbrigativa, con alcuni pregi e molti difetti che ne hanno decretato la fine. Un giudizio di parte di un lettore scontento? No: è tutto documentato, dai problemi di stampa al fatto che la ristampa ha chiuso dopo i previsti 20 numeri, ma con tirature veramente banali, che ne hanno decretato la fine.
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