100% FITNESS MAGAZINE
FILOSOFIA
50
Visita il nuovo sito della rivista: www.salutefitness.it
Ma chi è DIO?
S
embra una domanda scontata, come, del resto, la risposta.
Tuttavia essa continua a proporsi, alla mente dell’uomo,
una volta che, superate le Colonne di Ercole delle convinzioni ereditate dal mondo culturale in cui vive, si immette
nel mare aperto e sconfinato dell’ Essere, proprio come l’Ulisse
di Dante, insoddisfatto delle risposte catechistiche. La domanda
mi si è riproposta leggendo l’ultimo romanzo (autobiografico) di
Susanna Tamaro, “Ogni Angelo è tremendo”, edito da Bompiani.
L’uscita di ogni libro della scrittrice suscita insanabili controversie
tra chi l’ha destinata da sempre a stroncature pregiudiziali e
senza appello e chi, al contrario, trova nella sua scrittura spunti
di riflessione che raramrente si riscontrano nella narrativa contemporanea, piuttosto superficiale e anemica. I racconti di “Per
voce sola” e il romanzo “Va dove ti porta il cuore”, tradotti in
tutto il mondo, testimoniano senza dubbio la profondità, oltre che
la bellezza, della sua scrittura. C’é un passo dell’ultimo romanzo
che, a proposito della domanda, vale la pena riportare. “Don Volpe
diceva che dovevamo rivolgerci con fiducia al Padre nostro che è
nei Cieli. Ma come si poteva provare questo sentimento davanti a
un Padre che imponeva a un altro padre (Abramo) di ammazzare
il proprio figlio prediletto? Solo un’entità mostruosa poteva domandare una cosa del genere!” E più avanti “ Terminata la parte
biblica, entrò in scena Gesù... Don Volpe diceva che era il figlio
del Padre. Se così era, pensavo rannicchiata nel mio banco, chissà
quali mattane sta organizzando dietro quella sua aria serafica”.
E’ evidente che una divinità siffatta, molto simile alle divinità
mesopotamiche e babilonesi o al Minotauro della cultura cretese,
che si appaga unicamente di sacrifici umani, appare ignobile e
ripugnante alla scrittrice cattolica. Non così per Kierkegaard, filosofo danese, il quale, in “Timore e Tremore”, giustifica sia l’ordine
divino sia la sottomissione di Abramo. Per Kierkegaard la fede in
Dio con l’obbedienza ai suoi comandi, benchè vada in direzione
contraria alla legge morale e agli affetti naturali, esclude qualsisasi
esitazione e incertezza. Abramo, certo di agire bene, conduce
Isacco al patibolo servendosi di un inganno. Non comunica
alla moglie Sara (che probabilmente glielo avrebbe impedito con
tutte le sue forze) lo decisione delittuosa, in perfetta sintonia con
l’ordine divino, che può anche sospendere la legge morale. Ignora
la richiesta di Isacco che, lungo il cammino, gli chiede più volte,
con una certa apprensione, dove si trovi la vittima designata per
l’olocausto, quasi presentisse l’abbattersi su di lui di un evento
pericoloso e oscuro. “Il Signore provvederà” gli risponde Abramo
con una palese bugia. La sua unica certezza è che ucciderà il figlio.
Secondo Kierkegaard tra “vita religiosa” e “vita etica” non vi è
alcuna relazione. E, infatti, Dio, quello stesso che aveva scritto
sulla fronte dell’assassino di Abele: “Nessuno tocchi Caino”, con
una inspiegabile contraddizione, può chiedere ad Abramo di
compiere un gesto primitivo e ripugnante che qualsiasi popolo
civile avrebbe condannato risolutamente.
Di sicuro non è agevole condividere questa immagine di Dio che
Domenico Casa
Consulente filosofico
Cell. 3393318463
[email protected]
è all’origine della cultura ebraica, ereditata da quella cristiana,
in cui centrale è il sacrificio del Figlio sulla croce, fortemente
voluto dal Padre, il quale se ne rimane nel suo arcano silenzio e
non interviene per evitarlo dinanzi alle suppliche insistenti del
Figlio nel Getsemani, permettendo che rimanga nella storia uno
degli orrori più immani.
Forse “Dio non è così” diceva il titolo di un libro di un teologo
anglicano. Ma se non è così, chi è allora, ammesso che ci sia? La
fede, per quanti sforzi intellettuali siano stai fatti, nel tentativo di
ricondurla alla ragione, rimane un mistero abissale. Le presunte
prove razionali per dimostrare l’esistenza di un Principio, messe a punto da Platone, Aristotele, Agostino, Anselmo d’Aosta,
Tommaso d’Aquino, Cartesio, si sono rivelate inconsistenti sotto
i colpi del criticismo kantiano. E Pascal dirà che sull’esistenza di
Dio è possibile solo scommettere. E, come per ogni scommessa,
si può vincere o perdere. Plotino sosteneva che sull’Uno si può
soltanto tacere, essendo Egli lontano e distante miliardi di anni
luce dalla nostra comprensione. Stando alla sua esperienza, solo
i mistici, mediante l’estasi, riescirebbero a cogliere qualche flebile
bagliore della sua esistenza. Ma, nonostante il filosofo riveli di
aver percorso la strada che conduce fuori di sé per attingere
al divino, anche queste forme di esperienza appaiono dubbie,
soprrattutto dopo che la psicoanalisi ha messo in evidenza come
esse potrebbero essere originate da disagi profondi, come l’isteria
e la nevrosi ossessiva.
Nel suo belllissimo e illuminante libro “Il Buddha vivente il Cristo
vivente”, Thich Nhat Hanh, monaco buddista che, con i metodi
non violenti, combattè aspramente, fino alla vittoria, contro l’invasione prima e, successivamente, contro la guerra che gli americani
portarono per lunghi anni nel Vietnam, a proposito di Dio scrive
quanto segue: “Un buon teologo è colui che non dice quasi nulla
su Dio....E’ rischioso parlarne. Il Buddha era chiarissimo a tale
proposito. Egli disse: “Mi riferite di essere innamorati di una
splendida donna, ma quando vi domando: Qual è il colore dei suoi
occhi? Come si chiama? Come si chiama la sua città? Non siete
in grado di dirmelo. Non credo che siete innamorati veramente
di qualcosa di reale”. Il Buddha non era contro Dio. Era soltanto
contrario a concetti di [