Il nome deriva probabilmente dal colore rossastro che i
grappoli assumono a maturazione. Il vitigno, di sicura origi-
ne antica, è descritto con dovizia di particolari in vari Alma-
nacchi Agrari della fine del secolo XIX e degli inizi del XX.
Nell’Almanacco Agrario del 1898, alle pagine 259-260,
troviamo scritto: «La Rossara si trova diffusa nel bacino di
Mezzolombardo e Mezzotedesco 77) e in piccola parte nel baci-
no del Sarca. Il vitigno è di una rigogliosità straordinaria, al-
ligna bene in collina e dà prodotti abbastanza regolari e ab-
bondanti. Il vino... è alquanto più scadente di quello della
schiava, più povero di corpo, meno colorito ma più acidulo;
si può bere al pasto in maggiori quantità e tagliato con vini
prodotti con qualità migliori come Teroldico, Marzemino e
Negrara dà vini gustosi...».
Il colore rosso chiaro della buccia a maturazione fa ac-
comunare la Rossara nostrana ad alcuni vitigni con la stessa
origine semantica del nome: Rossana, Rossetta, Rossola ecc.,
ma che le sono in realtà geneticamente molto distanti.
Il grappolo è grosso, conico, mediamente compatto: l’a-
cino medio, arrotondato, di colore rosso scuro-violetto e di
sapore neutro.
Il vino, di colore rosato-granato, ha un aroma speziato,
acidità medio-bassa, buon sapore leggermente amarognolo,
leggero e poco corposo. Un tempo la Rossera veniva vinifica-
ta con Schiava, Negrara e Teroldego con le quali era spesso
coltivata: in questo modo si poteva ottenere un vino di buo-
na robustezza e finezza.
Questo vitigno è ammesso alla coltivazione nella pro-
vincia di Trento 78) .
77)
Così era chiamato un tempo il paese di Mezzocorona.
Cfr. Stefanini M. - Tomasi T., Antichi vitigni del Trentino, San Michele
all’Adige (TN) 2010, pp. 78 e 81.
78)
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