di color biancastro sui tralci, sulle foglie e soprattutto sui
grappoli, oltre a distruggere i raccolti, procurò una sorta di
paralisi di tutta l’economia agraria.
In seguito, buoni risultati si ottennero col ricorso all’uso
dello zolfo che fece rinascere la fiducia negli addetti ai lavori.
Purtroppo, negli anni 1879-1880, ci fu la comparsa di
un’altra terribile malattia, la peronospora viticola (Plasmopa-
ra viticola) che contribuì a mettere in ginocchio la viticoltura.
Agronomi, contadini e proprietari ingaggiarono allora una
strenua lotta: i vitigni furono ricostituiti su nuovi innesti
americani più resistenti e furono nel contempo privilegiate le
specie più robuste in grado di dare vini più corposi e carichi.
Nonostante tutto, sui Colli Euganei le malattie furono an-
che l’occasione per l’impianto di zone specializzate – si vide, ad
esempio, comparire il “Tokay” – e per la nascita di veri “indu-
striali” del vino che introdussero vitigni particolari nonché tec-
niche nuove e procedimenti diversi di lavorazione delle uve.
A questo riguardo va ricordata l’iniziativa del conte
Augusto Corinaldi (citata nella Statistica della Provincia di
Padova del 1878) sul colle di Lispida, presso Padova, il quale,
prima dell’impianto dei propri vigneti, aveva voluto creare
una coltura sperimentale con i migliori vitigni italiani e stra-
nieri. Tale impresa – emblematica del nuovo sistema di pro-
duzione vinicola, ora più razionale e adeguato – fornì in se-
guito utili indicazioni per gli impianti di Cabernet, Riesling
italico e Riesling renano nelle zone collinari e Refosco, Rabo-
so e Pinot nero in quelle pianeggianti.
Nell’azienda dei Corinaldi, dopo accurati studi per in-
dividuare il tipo migliore, si passò alla “fabbricazione in
grande” di un solo tipo di vino rosso da pasto adatto all’e-
sportazione.
Altri vigneti specializzati, quasi tutti di proprietà di no-
bili famiglie e ispirati perlopiù alle moderne direttive enolo-
giche, si aggiunsero in seguito negli Euganei.
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