giatori di tutte le condizioni sociali che trovavano asilo pro-
prio nei monasteri dislocati lungo il loro cammino (come
quello di S. Zeno di Verona).
Furono pertanto i monasteri, proprietari di vasti appezza-
menti di terra coltivati a vite, ad incentivare la viticoltura sia
nella Gardesana sia nelle terre bonificate della Bassa Veronese.
Alla viticoltura ecclesiastica si affiancò ben presto anche
una viticoltura laica e signorile che divenne in seguito fonte
di sicuro reddito economico. Il vino, prodotto ormai in quan-
tità sempre maggiori, non poteva essere consumato tutto in
loco e pertanto, se i vigneti si trovavano poco distanti da
fiumi navigabili o da strade percorribili con i carri, veniva
commercializzato 15) . Era spesso in gran parte col vino che
anche Verona, come molte città padane, poteva pagarsi il sale
che veniva trasportato dai Veneziani.
Basso Medioevo
Dopo il Mille le notizie più interessanti, attinenti alla
viticoltura nel Veronese, si trovano nei documenti che riguar-
dano contratti agrari ed anche nelle disposizioni statutarie
comunali.
Nel 1228, sotto il podestà Manfredo da Cortenuova, i
procuratori veronesi incaricarono il notaio Calvo di compila-
re gli Statuti per dare un ordinamento giuridico alla città. Nel
“Liber juris civilis urbis Veronae” o “Statuto del notaio
Calvo”, oltre al risarcimento ai proprietari per gli eventuali
danni procurati ai vigneti da incursioni, passaggio di cavalli,
guerre ecc., era contenuta anche una certa regolamentazione
sulla vendita del vino al minuto.
15)
Cfr. Pini A. I., Vite e vino nel Medioevo, Bologna 1989, p. 24.
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