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possa essere stato il
finestrino di un auto (19).
Secondariamente è proprio l’esistenza della seconda foto
che ci porta ad escludere del tutto l’ipotesi di un riflesso
fortuito, dal momento che l’UFO raffigurato in essa (oltre
che essere uno solo: il che non si accorda con l’ipotesi di
Robinson di una lampada a tre luci) si presenta ben diverso
da quelli visibili nella prima fotografia, pur essendo
l’inquadratura pressoché uguale (il che ci lascia supporre
che le due foto siano state scattate in rapida sequenza). In
altre parole, un eventuale riflesso prodotto da una lastra di
vetro avrebbe dovuto determinare se non il medesimo
certamente un effetto ottico molto simile in entrambe le
foto. Cosa che invece non è. In alternativa bisognerebbe
ipotizzare che il riflesso (in questo caso i riflessi) non siano
stati fortuiti ma studiati, cioè voluti dal Grasso, che potrebbe
averli prodotti collocando nel punto giusto una lastra di
vetro, poi fatta sparire. Ma francamente non ci sembra che
sussistano i motivi per spingere il nostro ragionamento fino
a sospettare un’azione così estrema e plateale da parte sua,
quando avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato in modo
ben più discreto.
Più verosimile ci appare invece il secondo scenario. Anche
se crediamo che gli elementi di cui disponiamo siano tali da
consentircene almeno una parziale modifica. Mi riferisco alla
testimonianza che il giornalista Angelo Caruso, autore del
servizio pubblicato dal Giornale dell’Isola, ha reso il 26
gennaio di quest’anno a Foresta e Rampulla.
“No. Grasso mi disse che erano dei palloni sonda. Però è
vero che pur di montare il caso sarebbe stato capace di
tutto” è stata la sua illuminante risposta.
Caruso si è detto all’oscuro anche del fatto che le foto di
Grasso avessero in pratica fatto il giro del mondo:
“Probabilmente” è stato il suo commento “le vendette.
Oppure le portò in America l’ambasciatrice, che in quei giorni
passò dall’aeroporto di Catania.”
Considerata la nitidezza delle varie riproduzioni della foto
principale pubblicata all’estero (non ultima la copertina del
libro di Aimè Michel), ritengo quasi certo che Grasso riuscì
a piazzare all’estero le sue fotografie, non potendo pensare
che sia stata usata una stampa non di prima generazione.
Del resto, in qualità di fotografo professionista ben introdotto
negli ambienti giornalistici (anche se rimane da appurare se
fosse effettivamente “corrispondente della United Press”) la
cosa non dovette risultargli difficile. Quest’ultimo aspetto
della vicenda è tuttavia rimasto poco chiaro, anche a causa
dei tanti anni ormai trascorsi, che rendono un po’ confusi i
ricordi di Caruso. Certamente dell’ambasciatrice egli non
avrebbe parlato se non fossimo stati noi a tirarla in ballo per
cercare di chiarire quale ruolo potesse aver avuto in questo
affare.
Così come sempre su nostra precisa domanda, Caruso ha
anche smentito che sulla scena sia intervenuto alcun caccia
dell’Aeronautica Militare Italiana.
La mia ipotesi
La testimonianza di Caruso
Secondo
quanto
raccontatoci,
Caruso
apprese
dell’avvistamento direttamente dal Grasso, allorché questi
lo chiamò nel pomeriggio del 19/11/54 per proporgli le
fotografie che aveva scattato. Caruso non si meravigliò di
questo fatto, poiché Grasso “me ne passava tante. Era per
così dire specializzato in foto strane: tipo quello che
respirava con gli occhi o quell’altro che fumava con le
orecchie”. Tuttavia nel vedere le foto in questione, Caruso
rimase un po’ perplesso e decise di recarsi sul posto per
verificare l’accaduto e raccogliere magari qualche altra
testimonianza. E come era solito fare portò con sé Giuseppe
Di Giorgio, uno dei fotografi del giornale. Fu infatti questi
che scattò le foto alla figlia dei Carnabuci ed all’altro anziano
pescatore, così come pure quella in cui le due guardie di
finanza mostrano l’involucro sgonfio del pallone sonda
recuperato “ridotto ad un doppio velo di cipolla dalle vaste
dimensioni, ma dal peso si e no di centro grammi”.
Quest’ultima foto in particolare fu scattata presso il Comando
della Guardia di Finanza di Santa Teresa Riva (ennesimo
paesino del litorale taorminese) dove a conclusione
dell’incontro, senza che lo chiedesse, il maresciallo Q