mi affascinano e in cui mi rispec-
chio.
Sei impegnato da anni in proget-
ti umanitari e sociali. In questi
mesi di blocco totale i problemi
che incontreremo avranno con-
notati diversi rispetto a quelli
che abbiamo lasciato. Hai già in
mente qualche nuovo progetto a
cui dedicarti?
Sì, vorrei realizzare nuove inizia-
tive. Non credo, come ho letto da
qualche parte che la pandemia
ci renderà migliori di prima, ma
spero che non venga meno il sen-
so di solidarietà: come ha detto
Papa Francesco, siamo tutti sulla
stessa barca. Penso che dovremo
ripartire ciascuno dal nostro pic-
colo, e guardarci anche intorno,
partendo ciascuno dal proprio
quartiere. Sono diventato da poco
padre e non nascondo che mi
sento vicino alle problematiche
dell’infanzia.
Sei sulla scena musicale da
trent’anni: com’è è cambiato il
modo di fare musica nel corso
della tua esperienza? C’è qual-
che costante che porti con te fin
dall’inizio della tua carriera?
Se penso a come è cambiato il
modo di fare musica non pos-
so che pensare ai sistemi con cui
si catturano le idee oggi. Quan-
do ho iniziato a fare musica era
il 1991 e i miei demo li costruivo
con il multitraccia Yamaha MD4.
Registravo tutti gli strumenti e poi
condividevo le mie incisioni con
gli altri della band. Oggi utilizzo
il computer. Per lo più lavoro su
Logic Pro X e Ableton per i pezzi
con più elettronica. Negli ultimi
dieci anni mi sono appassionato
molto anche alla chitarra acustica
oltre che a quella elettrica. Il devi-
ce con cui si ascolta musica oggi
per antonomasia è lo smartphone,
molto diverso dai vinili con cui
sono cresciuto, che imponevano
all’ascoltatore un tempo di atten-
zione maggiore, si ascoltava tutto
l’album leggendo i testi, invece di
saltellare da una playlist all’altra
(di questo ho una certa nostalgia).
La costante in questi anni è stata
la scrittura; quando arriva la sera
metto nero su bianco le mie sen-
sazioni che poi nel tempo rima-
neggio; da quegli appunti nasce-
ranno i testi delle canzoni.
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