ortodossa. Per dieci anni ho fatto
parte di Dozhens, la prima realtà
nata a Padova, poi diventato quasi
un laboratorio di sperimentazione
e crossover fra generi inventan-
dosi fra i primi il rap sulla musica
elettronica già all’inizio dei 2000.
Chiusa l’esperienza di gruppo
dopo 10 anni di live e tre album,
ho continuato la stessa ricerca da
solo. Tanti altri live, vari album
solisti, pause, esperienze e colla-
borazioni negli States fino a qui
oggi. Negli anni mi sono appro-
priato di una scrittura sempre più
personale, ho imparato a produr-
mi la musica da solo. La mia è una
ricerca che porta a una modalità
comunicativa fatta a strati, non
facile, ma è una scelta, così come
un flow personale, complesso che
continuo a rivedere ed evolvere.
Magari domani Silek sarà solo
musica... o solo scrittura... o un
progetto multimediale interatti-
vo... vedremo.
Si parla di maschere con “Carni-
val”: mi racconti con quali sen-
timenti hai approcciato il lavoro
sul disco?
Volevo fosse il primo disco di Si-
mone. Lasciare il personaggio per
far parlare la persona, toccando le
parti più intime, lasciando fluire
le emozioni senza imbarazzi. Non
ci sono temi sociali, come di solito
era per la mia composizione, non
ci sono teoremi e visioni o mes-
saggi, c’è la mia parte emotiva più
profonda, nuda, difficile da scrive-
re perché smuove cose che sono in
fondo. L’ho scritto composto e re-
gistrato in tre mesi esatti e ci sono
tutte le esperienze, le emotività i
passaggi di questo periodo, è stato
davvero intenso e mi ha portato
a scrivere ogni giorno in manie-
ra continua e fluida. In Carnival
ci sono bui profondi ma c’è anche
la luce, c’è il far pace con pezzi
della mia vita, ci sono le mie pau-
re e le mie speranze. La sera mi
sedevo e scrivevo e dopo un’ora
avevo la bozza del brano con tan-
to di ritornello. Mandavo.in giro
su whatsapp i provini annoiando
tutti quelli che si sentivano di sop-
portarmi e tiravo le somme. Poi
smussavo.
Benché tu sia abituato a spazia-
re tra i generi mi sembra che in
questo caso tu abbia scelto un
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ascoltare artisti della mia gene-
razione ancora in giro, sono stati
ottimi maestri ma che sento non
appartenermi più. Fra i più attuali,
anche se a loro volta di lungo per-
corso, ascolto e apprezzo molto
Noyz Narcos, Salmo, Marracash,
Primo Brown (RIP), Mezzo San-
gue, ma anche qualcuno di più
giovane ancora che si muove in
altri territori.
Che cosa pensi della situazio-
ne attuale l’hai spiegato bene in
“Quarantema”... Che cosa farai
“all’uscita”?
Qualsiasi cosa io dica verrà confu-
tata e resa merda dalle due grosse
fazioni che vedo andare a crear-
si, future contro no future, nega-
zionismo contro fine del mondo.
Credo che ne usciremo, ma una
parte di noi è in preda al panico,
credo che subire la paura sia il ri-
schio più dannoso del virus stesso
che va amministrato con respon-
sabilità, ma presto o tardi passerà.
Il problema è se rimane la paura.
All’uscita farò quello che ho sem-
pre fatto: cercare di costruire cose
positive, solo che per un periodo
lo farò con la mascherina.
vestito sonoro molto omogeneo
e compatto. Da cosa nasce questa
scelta?
Volevo avesse delle tinte precise,
ho scelto una palette e vi sono ri-
masto coerente, l’idea è che fos-
se un ascolto esattamente dentro
quella stanza, con quegli odori e
quei suoni. E’ un disco hip hop
attuale, non vintage o nostalgico,
ha bpm molto bassi, utili a dar-
mi elasticità nella stesura del rap.
Credo sia stato davvero il progetto
più fluido e veloce del mio percor-
so, togli mix e periodo covid dopo
tre mesi scarsi dall’idea di fare un
nuovo progetto (dopo il preceden-
te uscito a settembre) era tutto re-
gistrato con sette brani e pronto a
uscire. Ho aggiunto solo la bonus
track Quarantema composta e re-
gistrata a casa da me per ovvi mo-
tivi di cronaca. Nel totale quattro
produzioni sono mie, tre di Nevo,
una di Skinny.
Chi sono i tuoi punti di riferi-
mento nell’hip hop italiano?
Vengo dall’ascolto di tutto il rap
anni ‘90, per Sangue Misto e LouX
sono stati i mentori che ancora mi
godo, oggi però non riesco più ad
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