abbia ispirato. Credo che siano
cose che avevamo dentro da mol-
to, cose che magari non avevano
trovato spazio prima. È stato an-
che interessante per noi osser-
vare come ci siamo mossi senza
intoppi, tutti eravamo d’accordo
quasi sempre… tutto è andato li-
scio, senza tensioni. Non abbiamo
guardato a nulla, essenzialmente
abbiamo buttato fuori cose che
aspettavano di uscire. Per questo
disco volevamo davvero che fosse
soltanto la musica a parlare e far
parlare le nostre pulsioni e la no-
stra visone delle cose.
Ho trovato mescolati, insieme al
noise, all’industrial e alla musica
sperimentale, anche brani, che
mi hanno fatto pensare all’elet-
tronica ’90 e perfino ai Prodigy.
Quali gli ascolti prevalenti du-
rante la composizione del disco?
Sicuramente dentro Archipel{o}gos
si può trovare molto del nostro
background, ben vengano i Prodi-
gy, la Big Beat, la Jungle, ben ven-
gano l’industrial o il noise… sono
tutte cose che conosciamo bene
ma non ci sono ascolti specifici di
riferimento, anzi tendenzialmente
durante la composizione preferia-
22
vede “mascherati” (o bendati:
non si capisce se non volete far-
vi vedere o se non volete vedere
voi). Qual è il motivo?
È corretto sia dire “mascherati” sia
“bendati”, l’idea fa seguito un po’
ai temi che sono stati toccati nel
disco, principalmente questioni
di incomunicabilità, e di annulla-
mento di personalità, estremizza-
zione dell’edonismo individuali-
stico che però si crogiola dentro le
briciole tossiche della società dei
consumi scadenti, codici incodi-
ficabili che rifiutano di tradursi,
cyborg che non provano alcuna
empatia ma triggerati per com-
muoversi con le serie TV. Quindi
la maschera, è una maschera di
indifferenza verso l’altro e un ben-
daggio che soffoca le possibilità di
comunicazione e cancella i tratti
somatici.
mo non ascoltare nulla, per tenere
le orecchie, la mente e la pancia il
più possibile pulite. È più proba-
bile che sia arrivata nelle nostre
orecchie, tutta la spazzatura che
involontariamente ci prendiamo
dalle radio all’interno dei negozi,
o in qualsiasi altro contesto della
quotidianità, ovviamente mesco-
lato con i registratori di cassa, i
cigolii delle porte, i sistemi di al-
larme, i rombi delle macchine e le
dissertazioni sui cine-comics.
Quali sono i limiti che vi ponete
componendo, se ce ne sono?
A priori non ce ne sono, anzi, più
ardite sono le idee e le proposte e
più ci concentriamo per svilup-
parle, per noi comporre deve es-
sere un esercizio incondizionato
di libertà. Man mano che si svi-
luppa ovviamente è il disco stesso
che pone i suoi limiti, e ci viene
automatico poi restarne dentro. Il
senso armonia che ci guida pro-
viene dall’esperienza piuttosto che
dallo studio della tecnica, quindi
ha parametri molto poco canonici
e forse molto poco corretti. E va
bene così.
La vostra iconografia attuale vi
23