sul suolo lunare centinaia di sou-
venirs, come per marcare il terri-
torio”. Pare in effetti che giacciano
sulla luna foto di famiglia, palle da
golf, banconote, gioielli... Anche
di fronte all’impresa più grandio-
sa l’uomo è sempre uomo, ovvero:
anche visti dalla luna siamo esseri
finiti, limitati e inermi.
Mi spieghi come nasce il raccon-
to di “Whispers to the Wind”?
Un pensiero molto semplice: il
tempo è l’unico strumento di giu-
stizia per l’uomo. L’invecchiare
per poi morire ci rende uguali. La
bellezza negata (o per nessuno) è
bruttezza.
Pratichi un genere che, benché di
origine poco “italiana” ha trova-
to un buon numero di interpreti
anche da noi, in particolare nei
tempi recenti e nel mondo in-
dipendente. C’è qualcuno che ti
piace tra i tuoi colleghi italiani?
Onestamente non sono un se-
guace dell’indie italiano. Ho tanti
amici musicisti che ammiro ma
non credo di essermi ispirato a
nessuno di loro in particolare.
Come molti di loro però ho amato
il folk americano anni 70, il prog-
to musicale, è il pensiero che in
qualche modo mi ha ispirato nel
raccogliere questi pezzi che in ef-
fetti non nascono come “lunari”
ma che sono a tutti gli effetti dei
brani notturni. Se ci pensi la luna
è l’immagine più immediata della
trascendenza: di per sé ci rimanda
a un mondo “altro” che possiamo
osservare, ogni notte, al di là dei
pensieri e delle tribolazioni di tut-
ti i giorni. Dopo aver registrato il
disco ho passato questa immagine
a mia sorella Lisa che cura la dire-
zione artistica del progetto “Lupo”.
Lei, partendo da una pubblica-
zione della NASA che lista gli og-
getti abbandonati sulla luna dagli
astronauti che l’hanno visitata, ha
avuto l’idea di utilizzare le missio-
ni Apollo per rappresentare “To
The Moon”. Si tratta infatti di im-
magini e video anni ‘70 che sono
decisamente coerenti con la mia
estetica di riferimento. Ha poi svi-
luppato una riflessione sull’uomo
che va oltre l’impresa lunare e che
dice: “quegli stessi eroi che hanno
sfidato la morte più atroce e spa-
ventosa, attraversando l’atmosfera
terrestre, hanno poi abbandonato
18
lì che è nato l’ep: ci vuoi raccon-
tare com’è nato?
Sì, in effetti sto scrivendo le rispo-
ste a queste tue domande da una
camera di albergo di Omotesando
(e tra l’altro qui è l’una di notte e
la melatonina comincia a fare ef-
fetto…). Vengo in Giappone or-
mai da più di dieci anni: è un pae-
se fantastico che ti spinge a osare,
a metterti in gioco. È una terra di
musica, dove trovi intere vie di
negozi di chitarre con pezzi raris-
simi a prezzi estremamente inte-
ressanti o sale prove super attrez-
zate aperte 24 ore su 24. Ci sono
un sacco di musicisti di talento e
sto cercando di creare assieme alla
GrandTreeHouse Records (mia
etichetta giapponese) una sorta di
network, come un collettivo dove
farli interagire tra loro. Non è fa-
cile perché culturalmente fanno
fatica a fare gruppo. Il disco l’ho
sostanzialmente arrangiato qui
nel 2017, principalmente di notte:
forse è questa l’origine dell’ispira-
zione lunare? Perdonami ma ora
preferirei chiudere perché quando
parto col Giappone rischio di non
fermarmi più!
rock ingelse e quello italiano, i Be-
atles, Hendrix e Bowie. Di italiano
piuttosto ho ascoltato i cantauto-
ri: De André, Dalla, De Gregori,
Tenco, Conte, Battiato e così via...
anche CCCP e CSI. Tra gli italia-
ni di oggi apprezzo molto alcuni
pezzi dei Nobraino, soprattutto
per i testi. C’è però un musicista
che mi ispira moltissimo ma non è
italiano e non credo appartenga al
mondo dell’indie: è Rodrigo Ama-
rante, per me uno dei più brillanti
autori e performer di questi anni.
I suoi live in solo sono semplice-
mente perfetti.
Hai un rapporto profondo e fer-
tile con il Giappone ed è proprio
19