TRAKS MAGAZINE TRAKS MAGAZINE 022 | Page 18

sul suolo lunare centinaia di sou- venirs, come per marcare il terri- torio”. Pare in effetti che giacciano sulla luna foto di famiglia, palle da golf, banconote, gioielli... Anche di fronte all’impresa più grandio- sa l’uomo è sempre uomo, ovvero: anche visti dalla luna siamo esseri finiti, limitati e inermi. Mi spieghi come nasce il raccon- to di “Whispers to the Wind”? Un pensiero molto semplice: il tempo è l’unico strumento di giu- stizia per l’uomo. L’invecchiare per poi morire ci rende uguali. La bellezza negata (o per nessuno) è bruttezza. Pratichi un genere che, benché di origine poco “italiana” ha trova- to un buon numero di interpreti anche da noi, in particolare nei tempi recenti e nel mondo in- dipendente. C’è qualcuno che ti piace tra i tuoi colleghi italiani? Onestamente non sono un se- guace dell’indie italiano. Ho tanti amici musicisti che ammiro ma non credo di essermi ispirato a nessuno di loro in particolare. Come molti di loro però ho amato il folk americano anni 70, il prog- to musicale, è il pensiero che in qualche modo mi ha ispirato nel raccogliere questi pezzi che in ef- fetti non nascono come “lunari” ma che sono a tutti gli effetti dei brani notturni. Se ci pensi la luna è l’immagine più immediata della trascendenza: di per sé ci rimanda a un mondo “altro” che possiamo osservare, ogni notte, al di là dei pensieri e delle tribolazioni di tut- ti i giorni. Dopo aver registrato il disco ho passato questa immagine a mia sorella Lisa che cura la dire- zione artistica del progetto “Lupo”. Lei, partendo da una pubblica- zione della NASA che lista gli og- getti abbandonati sulla luna dagli astronauti che l’hanno visitata, ha avuto l’idea di utilizzare le missio- ni Apollo per rappresentare “To The Moon”. Si tratta infatti di im- magini e video anni ‘70 che sono decisamente coerenti con la mia estetica di riferimento. Ha poi svi- luppato una riflessione sull’uomo che va oltre l’impresa lunare e che dice: “quegli stessi eroi che hanno sfidato la morte più atroce e spa- ventosa, attraversando l’atmosfera terrestre, hanno poi abbandonato 18 lì che è nato l’ep: ci vuoi raccon- tare com’è nato? Sì, in effetti sto scrivendo le rispo- ste a queste tue domande da una camera di albergo di Omotesando (e tra l’altro qui è l’una di notte e la melatonina comincia a fare ef- fetto…). Vengo in Giappone or- mai da più di dieci anni: è un pae- se fantastico che ti spinge a osare, a metterti in gioco. È una terra di musica, dove trovi intere vie di negozi di chitarre con pezzi raris- simi a prezzi estremamente inte- ressanti o sale prove super attrez- zate aperte 24 ore su 24. Ci sono un sacco di musicisti di talento e sto cercando di creare assieme alla GrandTreeHouse Records (mia etichetta giapponese) una sorta di network, come un collettivo dove farli interagire tra loro. Non è fa- cile perché culturalmente fanno fatica a fare gruppo. Il disco l’ho sostanzialmente arrangiato qui nel 2017, principalmente di notte: forse è questa l’origine dell’ispira- zione lunare? Perdonami ma ora preferirei chiudere perché quando parto col Giappone rischio di non fermarmi più! rock ingelse e quello italiano, i Be- atles, Hendrix e Bowie. Di italiano piuttosto ho ascoltato i cantauto- ri: De André, Dalla, De Gregori, Tenco, Conte, Battiato e così via... anche CCCP e CSI. Tra gli italia- ni di oggi apprezzo molto alcuni pezzi dei Nobraino, soprattutto per i testi. C’è però un musicista che mi ispira moltissimo ma non è italiano e non credo appartenga al mondo dell’indie: è Rodrigo Ama- rante, per me uno dei più brillanti autori e performer di questi anni. I suoi live in solo sono semplice- mente perfetti. Hai un rapporto profondo e fer- tile con il Giappone ed è proprio 19