TRAKS MAGAZINE TRAKS MAGAZINE 021 | Page 10

bene alle canzoni, le proprie e quelle degli altri, ti fanno compa- gnia. Il disco si chiama Stanze, ma personalmente lo vedo poco “al chiuso”: mi sembra anzi che le atmosfere siano urbane ma aper- te, come se avessi scritto le can- zoni vagando per una città stra- niera… In effetti è così. Quei quattro soldi che guadagno alla fine li spendo in musica e in viaggi, perché è bel- lo. Kreuzberg, i borghesi di oggi e le loro contraddizioni. Tirana an- cora di più, con le sue connota- zioni affettive, che mi lasciato un cuore arabo e una mente europea. E poi Genova, la mia casetta con una finestra tra le montagne e il mare. Stanze perché in ogni can- zone compare la parola o il con- cetto di stanza, ma è vero, è un di- sco di visioni esterne. Il prossimo lavoro dichiaratamente sarà sulle città. 10 Ho trovato sorprendente la cover de “I giardini di marzo”: come nasce l’idea? Lo ritengo uno dei brani più belli che le mie orecchie abbiano ascoltato e la sera, quando sono solo, lo suono spesso. Una pre- ghiera alla vita. Volevo renderle onore senza presunzioni o virtuo- sismi inutili, una specie di litania, una carezza. Non so se sono stato in grado di rendere ciò che mi fa provare. Vorrei sapere come nasce “Kreu- zberg”, nella quale sento forti influenze della new wave italia- na, che forse vanno anche al di là della tua età anagrafica Kreuzberg nasce dopo un viaggio a Berlino, dove vive mia sorella. Volevo rappresentare le emozioni che stava/stavamo vivendo così ho diviso il brano in tre parti distinte, anche nel metronomo affinché si potessero percepire tre differenti emotività. In effetti sia nelle tematiche generazionali che nell’arrangiamento ci sono for- ti spunti a quella new wave, ma è capitato inconsapevolmente. Vorrei che ci raccontassi qualco- sa anche del tuo lavoro presso la onlus alla quale presti la tua opera. La mission dell’Istituto è legata alle persone non vedenti, delle quali ancora si occupa. Offre tut- tavia servizi alla persona ormai a 360 gradi. Io lavoro sia con le persone non vedenti, con le qua- li ho un laboratorio musicale, di coro e con malati psichiatrici. Fare l’educatore è faticoso, ma estremamente arricchente. Mi considero molto fortunato per- ché, pur nelle sue enormi diffi- coltà, è un lavoro di significati, di parola. Certo la trincea dell’a- nima a volte lascia sgomenti, stanchi, impauriti ma ne vale la pena. 11