stato costruito tentando di ren-
dere in maniera “teatrale” questo
concetto. Il finale è volutamente
brutale ed estremo, ma in alcuni
casi diventa necessario. Il mani-
chino è un elemento forte, alta-
mente simbolico, la sua accecante
immobilità sussurra mille parole
a proposito di amori finiti o male-
odoranti. È un brano nato da una
profonda osservazione della re-
altà che mi circonda. Mille storie
ascoltate in questi anni a proposi-
to di amori ingovernabili mi han-
no suggerito una scrittura del ge-
nere. Le sonorità sono molto brit,
il ritornello è diretto, immediato e
senza fronzoli. Ho compreso subi-
to che aveva tutte le carte in regola
per essere il primo singolo. Una
volta girato il video, poi, non ho
avuto alcun dubbio. La veste per-
fetta per una storia d’amore che
sembra quasi un noir.
Quanto c’è di autobiografico nel-
le storie che racconti?
C’è sempre qualcosa di noi nelle
canzoni che scriviamo. Inutile ne-
garlo. In questo disco, però, come
accennato prima, ho adottato un
approccio diverso, più distaccato e
neutrale. Un racconto più freddo
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e asettico, meno coinvolto rispetto
a Bless. I personaggi che anima-
no i brani cantano le loro storie, i
loro frammenti di vita e lo fanno
a modo loro. Incespicano nei guai,
nelle disattenzioni, nelle immora-
lità tipiche di questi tempi e tro-
vano riparo nella luce della luna.
Una luce bislacca ma accondi-
scendente, che comprende e giu-
stifica, condiziona e accudisce. La
luna è il conforto più grande per
un sognatore incallito. E alla fine
si può dire che si tratta di una rac-
colta di racconti musicata, né più
né meno.
Tre nomi che ti piacciono della
musica italiana di oggi, a pre-
scindere dal genere?
Dario
Brunori su
tutti. Non
perché sia
mia con-
terraneo
ma sem-
plicemen-
te perché
è stato in
grado di
creare un
linguaggio comunicativo tutto
suo. Operazione assolutamente
complicata di questi tempi, sopra-
tutto se si scrive in lingua italiana.
Nel panorama dell’attuale cantau-
torato italiano lo considero una
spanna sopra gli altri. Un altro
progetto che ho sempre ritenuto
molto interessante è Le luci della
centrale elettrica. Anche in questo
caso c’è uno spessore compositivo
e comunicativo assolutamente de-
gno di nota. Infine, considerando
che i miei testi parlano lingua in-
glese, non posso non citare gli A
Toys Orchestra, una band corag-
giosa e geniale che a mio avviso
meriterebbe palcoscenici europei
di assoluto rispetto.
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