TRAKS MAGAZINE TRAKS MAGAZINE 019 | Page 28

FAB Un disco “americano” ma anche cpm un’anima romantica tutta italiana che dà forma a pensieri intimi e introspettivi, racchiusi in otto brani ine- diti: ecco “Maps for Moon Lovers Che cosa è cambiato dal tuo esordio e che panorami nuovi hanno fatto da sfondo a que- ste tue “mappe per amanti della Luna”? Bless è stato un luogo perfetto per mettermi alla prova, un’otti- ma “palestra” per sondare la mia capacità di scrivere canzoni. E di farlo per la prima volta in qualità di cantautore. Ho ricevuto ottimi riscontri e bellissime soddisfazio- ni, un incentivo a scrivere da su- bito nuovi brani. Maps for Moon lovers è nato già ai tempi dei primi live di Bless e alcuni testi, come per esempio The lazy one, li ho composti durante il primo tour. In quel frangente ho avvertito la necessità di rinvenire nuovi suoni, 28 l’esigenza di dirigermi verso altri territori ed esplorarli senza timo- re. È stata una ricerca molto lun- ga, durata circa un anno e mezzo. Non ho avuto alcuna fretta. Ho ascoltato tanta musica nuova (abi- tudine che in realtà ho da sem- pre) tentando di individuare le sonorità più adatte per un nuo- vo disco. Quanto ai testi mi sono spinto in una direzione differente e ho costruito otto storie per otto protagonisti differenti, scenari to- talmente diversi rispetto a Bless, che da questo punto di vista può considerarsi un album più intimo e autobiografico. I panorami di Maps for Moon lovers nascono da un’operazione “descrittiva”, il ten- tativo di raccontare le singole vite di personaggi moderni illuminati dal chiarore della luna. Benché buona parte del tuo di- sco suoni “analogico”, a volte perfino “old style”, tutto è partito dal loop sintetico di “Shoreditch girl”, a quanto ho letto… Assolutamente sì! Un loop venu- to fuori quasi per caso con il mi- crokorg, una nenia creata in stu- dio da Alex Tolomeo (suo il piano e le parti elettroniche del disco). Quel suono, quel carillon dal sa- pore anni 80, un po’ “Gameboy”, mi ha affascinato molto e mi ha convinto a coniugare suoni elet- tronici con chitarre brit. Ed ecco questi pad ampi, rotondi, estrema- mente riverberati, suoni che non è stato facile costruire ma che, una volta “messi al guinzaglio”, hanno segnato la svolta. Con il “tappeto sonoro” giusto è stato agevole di- segnare le melodie che mi girava- no in testa da mesi, sostenute da un hammond piuttosto che da un piano Rhodes, suoni decisamente vintage che a mio avviso si sposa- no alla perfezione con un synth. E questa la strada da battere, anche per il futuro. È una sintesi che mi affascina enormemente. Come nasce How High the Moon e perché l’hai scelta come singo- lo? Nasce dall’idea di affrontare il tema dell’amore da un punto di vista differente. L’amore sa essere fatto anche di urla e bugie, così come alle volte può risultare tal- mente ingombrante da risultare ingestibile e pericoloso. Il video è 29