FAB
Un disco “americano” ma anche cpm un’anima romantica tutta italiana
che dà forma a pensieri intimi e introspettivi, racchiusi in otto brani ine-
diti: ecco “Maps for Moon Lovers
Che cosa è cambiato dal tuo
esordio e che panorami nuovi
hanno fatto da sfondo a que-
ste tue “mappe per amanti della
Luna”?
Bless è stato un luogo perfetto
per mettermi alla prova, un’otti-
ma “palestra” per sondare la mia
capacità di scrivere canzoni. E di
farlo per la prima volta in qualità
di cantautore. Ho ricevuto ottimi
riscontri e bellissime soddisfazio-
ni, un incentivo a scrivere da su-
bito nuovi brani. Maps for Moon
lovers è nato già ai tempi dei primi
live di Bless e alcuni testi, come
per esempio The lazy one, li ho
composti durante il primo tour.
In quel frangente ho avvertito la
necessità di rinvenire nuovi suoni,
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l’esigenza di dirigermi verso altri
territori ed esplorarli senza timo-
re. È stata una ricerca molto lun-
ga, durata circa un anno e mezzo.
Non ho avuto alcuna fretta. Ho
ascoltato tanta musica nuova (abi-
tudine che in realtà ho da sem-
pre) tentando di individuare le
sonorità più adatte per un nuo-
vo disco. Quanto ai testi mi sono
spinto in una direzione differente
e ho costruito otto storie per otto
protagonisti differenti, scenari to-
talmente diversi rispetto a Bless,
che da questo punto di vista può
considerarsi un album più intimo
e autobiografico. I panorami di
Maps for Moon lovers nascono da
un’operazione “descrittiva”, il ten-
tativo di raccontare le singole vite
di personaggi moderni illuminati
dal chiarore della luna.
Benché buona parte del tuo di-
sco suoni “analogico”, a volte
perfino “old style”, tutto è partito
dal loop sintetico di “Shoreditch
girl”, a quanto ho letto…
Assolutamente sì! Un loop venu-
to fuori quasi per caso con il mi-
crokorg, una nenia creata in stu-
dio da Alex Tolomeo (suo il piano
e le parti elettroniche del disco).
Quel suono, quel carillon dal sa-
pore anni 80, un po’ “Gameboy”,
mi ha affascinato molto e mi ha
convinto a coniugare suoni elet-
tronici con chitarre brit. Ed ecco
questi pad ampi, rotondi, estrema-
mente riverberati, suoni che non è
stato facile costruire ma che, una
volta “messi al guinzaglio”, hanno
segnato la svolta. Con il “tappeto
sonoro” giusto è stato agevole di-
segnare le melodie che mi girava-
no in testa da mesi, sostenute da
un hammond piuttosto che da un
piano Rhodes, suoni decisamente
vintage che a mio avviso si sposa-
no alla perfezione con un synth. E
questa la strada da battere, anche
per il futuro. È una sintesi che mi
affascina enormemente.
Come nasce How High the Moon
e perché l’hai scelta come singo-
lo?
Nasce dall’idea di affrontare il
tema dell’amore da un punto di
vista differente. L’amore sa essere
fatto anche di urla e bugie, così
come alle volte può risultare tal-
mente ingombrante da risultare
ingestibile e pericoloso. Il video è
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