recensioni
Barberini, “Barberini”
Barberini è lo
pseudonimo della
cantautrice roma-
na Barbara Bigi,
ma è anche il ti-
tolo del suo esor-
dio omonimo. Il disco, anticipato
dal video Le Cabriolet, è cantato
in italiano è si distingue per il suo
dream-pop lisergico ed evocativo.
Si apre con l’ospite, che in realtà è
una presenza fissa per tutto il disco,
cioè Filippo Dr. Panico, sull’apertu-
ra de L’ultima notte, doppia voce
a scartamento lento e piuttosto
notturno. Si prosegue con una più
minimal Le balene, che sfrutta la
forza della filastrocca e si immerge
in acque sintetiche. Intro allungata
per Le Cabriolet, che pur avendo
un fil rouge fatto di chitarra si rive-
la piuttosto subacquea. Impressio-
ne trasmessa soprattutto dai filtri
vocali, che si ripetono anche nella
più lenta ma regolare Chiacchiere
da bar. Pianoforte, idee bislacche e
critica cinematografica in Le pro-
duzioni di Hollywood, costruita
sulle metafore. Vorrei invece si in-
serisce, più o meno, in ambito su-
pereroistico per giocare con minu-
zie, anche sonore. Spku decide per
vie elettroniche, parlando del resto
di mondi social-virtuali, risultando
in un pezzo quasi ambient dall’an-
damento molto particolare. Astro-
navi invece torna al pianoforte per
raccontare storie astronomiche,
lente e curiose. Si chiude con un’af-
follata Titoli di coda. Con una
voce che fa pensare all’easy liste-
ning e a decenni lontani, Barberi-
ni riesce a far emergere la propria
particolarità da canzoni ben scritte
e ben rifinite.
Paolo Spaccamonti-Jochen Ar-
beit, “CLN”
Paolo Spacca-
monti prosegue
nei suoi incontri
ad alto livello e
stavolta incoccia
in un peso mas-
simo come Jochen Arbeit degli
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Einstürzende Neubauten. Il risulta-
to è CLN, un disco sperimentale e
con influenze che svariano dall’am-
bient all’elettronica a più vasto re-
spiro, naturalmente con una parte
centrale per la chitarra. La Track
I è ambientale e introduttiva, con
sensazioni morbide e diffuse. Al-
tre le caratteristiche di una piut-
tosto infuriata ed estrema Track
II, in preda a una sorta di isteria
elettrica. Con la Track III i toni si
abbassano e i tempi si allungano,
come se passate le prime scherma-
glie l’intento fosse di lavorare più
in profondità. Track IV prosegue
nel lavoro sotterraneo, affidandosi
a un movimento percussivo pro-
fondo che consente alla chitarra di
spaziare un po’, anche se in modo
sommesso e piuttosto malinconi-
co. Con Track V invece i tempi si
accorciano di nuovo e si assume
come dato di fatto un giro di chi-
tarra ripetuto e un’atmosfera un
po’ desert rock. Track VI rispetta
uno schema simile, ma con mag-
gior distacco tra la chitarra solista e
il background sotto-
stante (e ronzante). Si
chiude con Track VII,
in cui la vibrazione diven-
ta dominante e detta la linea, in un
incedere pesante e minaccioso. Al
netto di una creatività sonora stra-
bocchevole, Spaccamonti e Arbeit
si lanciano senza paracadute su
percorsi sperimentali come se col-
laborassero insieme da sempre.
Indianizer, “Zenith”
A tre anni di
distanza dall’al-
bum di esordio
Neon Hawaii, gli
Indianizer pub-
blicano Zenith,
secondo lavoro
che segna il raggiungimento di un
sound più personale e consape-
vole. Caratterizzati dall’utilizzo di
inglese, spagnolo e una lingua in-
ventata, i brani sono nati da jam
sessions libere e selvagge a cui
sono state aggiunte le linee vocali
successivamente, delineando strut-
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