recensione
Turin Brakes
di canzoni pop ben fatte, esegui-
te in acustico, per lo più semplici
ma di ottimo impatto. È perciò
con una piccola fitta di nostalgia
che ci si mette a recensire questo
nuovo Invisible Storm, che vede
la band (ormai di band vera si trat-
ta, un quartetto ben oliato), ottavo
disco di una carriera che ha visto
anche successi “da classifica” tipo
Painkiller, nonché tour mondia-
li e riconoscimenti internazionali.
Il vostro anziano redattore non è
abituato all’attitudine da blogger,
cioè usare le recensioni per infilar-
ci ricordi personali. Tuttavia ogni
tanto si fa un’eccezione: i Turin
Brakes evocano memorie perso-
nali di un concerto a Milano, al
Tunnel, nel lontano 2001, di spalla
ai Kings Of Convenience, dopo
l’esordio con The Optimist LP. All’e-
poca i ragazzi erano due, l’aria un
po’ spersa, ma già un buon carico
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Partono forte con Would You Be
Mine appiccicano a un titolo stile
Guns’n’Roses una sezione ritmica
che tira il gruppo con potenza e
“tiro” insospettabile per una band
famosa per essere soft. Incisi di
fiati fanno pensare a band indie co-
etanee, tipo i Gomez. Il discorso
ritmico prosegue intenso ma i toni
si ammorbidiscono con Wait, il
primo singolo, che parte come Hey
Ya degli OutKast ma poi cambia.
Always sceglie un registro giocoso
ma morbido, più vicino alle can-
zoni da pomeriggi assolati a cui ci
avevano abituato. Anche Lost in
the Wood sembra non aver voglia
di litigare, ma rivela aspetti più inci-
sivi, con qualche ricciolo aggiunti-
vo di chitarra. Ci si tuffa in profon-
dità con Deep Sea Diver, ballad
con risonanze country che riporta
a galla tutto il romanticismo pop
che la band sa esprimere, coretti
compresi. Life Forms si risolleva
in fretta, rimettendo al centro voce
e chitarra. Ma con Invisible Storm
si torna all’oscuro, anche se l’incipit
è molto più tetro di
quanto poi la canzo-
ne riveli di essere. Giro
cattivo e acido, nonché
“echeggiato” elettronica-
men-
te, con un beat quasi dance: tutto
questo arriva con Everything All
At Once, canzone più di risenti-
mento che di sentimento. Tomor-
row gira intorno alla ripetizione del
concetto, rafforzato da strutture
sonore rock. Smoke & Mirrors
invece la prende alla larga, poi sus-
surrae chiude in modo morbido. E
ancor più sul morbido si va verso
il finale, con Don’t Know Much.
Tolta qualche accelerazione, Kni-
ght e Paridjanian sembrano, nella
sostanza, essere ancora quelli di
quella sera al Tunnel: capaci di dare
il meglio soprattutto quando le luci
sono un po’ soffuse, le idee confu-
se e la bottiglia sembra voler finire
troppo in fretta. E in più, la mae-
stria nel costruire canzoni-canzoni,
che niente chiedono ma molto ri-
escono a dare, soprattutto se sei in
cerca di qualche consolazione pop.
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