chiudere tutto il concept di tutto il di-
sco.
L’album è percorso da tanti senti-
menti e tante sonorità diverse. Pote-
te raccontare qualcosa delle lavora-
zioni che lo hanno generato?
Come già accennato, il nostro produt-
tore artistico è Andrea Rovacchi, un
professionista di rara sensibilità arti-
stica, capace di tirare fuori dagli artisti
il meglio che c’è. Le sonorità nascono
principalmente dal singolo musici-
sta e il suo approccio allo strumento,
ma tutti gli ospiti e gli strumenti ag-
giuntivi sono merito del produttore
artistico, che ha scelto per noi questo
periodo abbiamo incominciato a scrive-
re le nuove canzoni e, tra un concerto
e l’altro, abbiamo trovato il tempo di
registrarle, sotto la guida del sapien-
te Andrea Rovacchi. Il nostro modo di
scrivere è molto semplice, partiamo da
un’idea musicale o da un argomento di
cui vogliamo parlare, ci scambiamo del-
le idee a riguardo e, quando consideria-
mo la canzone pronta, andiamo in sala
prove ad arrangiarla con tutta la band.
In questo ultimo album i brani sono
tutti recenti, tranne “La città degli in-
namorati”, canzone scritta nel 2010 e
che non avevamo mai proposto prima,
ma che oggi ci è sembrata ideale per
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pisodio ci ha molto turbato, ne abbiamo
parlato molto tra di noi. Poi il nostro
chitarrista, mentre suonava per la fi-
glia piccola ha tirato fuori questo riff e
questo giro di accordi, ha mandato tut-
to al nostro cantante che ha scritto di
getto le parole del testo. Siamo molto
legati a questo brano, perché Anas Al
Basha rappresenta per noi un simbolo
di chi si oppone alle barbarie del mon-
do moderno con semplicità, con solo un
naso rosso come arma. La canzone, nel-
la tragedia che racconta, vuole comun-
que essere un messaggio di speranza.
Siete ormai fra le band “esperte” tra
quelle nel novero della musica indi-
pendente italiana. Che cosa vi piace
e che cosa vi piace meno di questo
grande carrozzone onnicomprensivo?
In pratica vuoi dire che ormai siamo
vecchi :).
Esatto, però con estrema gentilezza
Comunque dal nostro primo album
del 2010 è cambiato quasi tutto. Or-
mai quasi non esiste più la musica in-
dipendente, o meglio, viene spacciata
per musica “indie” ciò che in realtà è
semplice pop mainstream. Questo si-
curamente ci piace poco. Noi abbiamo
sempre pensato che la musica indipen-
dente fosse sinonimo di musica alterna-
tiva e oggi questa equazione non è più
valida. È un discorso difficile da fare da
parte nostra, una band che continua a
girare l’Italia da quasi dieci anni con
momenti alterni, ma che non ha avu-
vestito. Per quel
che riguarda in-
vece la parte dei
sentimenti, sia
a livello testuale
che musicale, si
basa sulla nostra
attuale sensibili-
tà e al modo che
abbiamo di sen-
tire ciò che ci cir-
conda. È un po’ il
nostro tentativo
di essere alterna-
tivi a quest’epoca
di standardizza-
zione conforme,
in cui si ha l’im-
pressione di po-
ter scegliere, ma
in realtà si è meno liberi mentalmente
rispetto al passato. Ecco, lavorando
al nostro disco noi abbiamo cercato di
essere liberi e sinceri, non preoccupan-
doci di nulla se non dell’evoluzione arti-
stica del nostro progetto musicale.
Potete raccontare qualcosa sulla ge-
nesi di “Pagliaccio”?
Circa un anno fa, nel periodo prece-
dente a Natale, siamo venuti a cono-
scenza della storia di Anas Al Basha,
il pagliaccio di Aleppo che aveva deciso
di rimanere in Siria durante la guerra
per portare un sorriso ai bambini e che
proprio pochi giorni prima era morto
durante a un bombardamento. Quest’e-
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