TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #8 | Page 12

chiudere tutto il concept di tutto il di- sco. L’album è percorso da tanti senti- menti e tante sonorità diverse. Pote- te raccontare qualcosa delle lavora- zioni che lo hanno generato? Come già accennato, il nostro produt- tore artistico è Andrea Rovacchi, un professionista di rara sensibilità arti- stica, capace di tirare fuori dagli artisti il meglio che c’è. Le sonorità nascono principalmente dal singolo musici- sta e il suo approccio allo strumento, ma tutti gli ospiti e gli strumenti ag- giuntivi sono merito del produttore artistico, che ha scelto per noi questo periodo abbiamo incominciato a scrive- re le nuove canzoni e, tra un concerto e l’altro, abbiamo trovato il tempo di registrarle, sotto la guida del sapien- te Andrea Rovacchi. Il nostro modo di scrivere è molto semplice, partiamo da un’idea musicale o da un argomento di cui vogliamo parlare, ci scambiamo del- le idee a riguardo e, quando consideria- mo la canzone pronta, andiamo in sala prove ad arrangiarla con tutta la band. In questo ultimo album i brani sono tutti recenti, tranne “La città degli in- namorati”, canzone scritta nel 2010 e che non avevamo mai proposto prima, ma che oggi ci è sembrata ideale per 12 pisodio ci ha molto turbato, ne abbiamo parlato molto tra di noi. Poi il nostro chitarrista, mentre suonava per la fi- glia piccola ha tirato fuori questo riff e questo giro di accordi, ha mandato tut- to al nostro cantante che ha scritto di getto le parole del testo. Siamo molto legati a questo brano, perché Anas Al Basha rappresenta per noi un simbolo di chi si oppone alle barbarie del mon- do moderno con semplicità, con solo un naso rosso come arma. La canzone, nel- la tragedia che racconta, vuole comun- que essere un messaggio di speranza. Siete ormai fra le band “esperte” tra quelle nel novero della musica indi- pendente italiana. Che cosa vi piace e che cosa vi piace meno di questo grande carrozzone onnicomprensivo? In pratica vuoi dire che ormai siamo vecchi :). Esatto, però con estrema gentilezza Comunque dal nostro primo album del 2010 è cambiato quasi tutto. Or- mai quasi non esiste più la musica in- dipendente, o meglio, viene spacciata per musica “indie” ciò che in realtà è semplice pop mainstream. Questo si- curamente ci piace poco. Noi abbiamo sempre pensato che la musica indipen- dente fosse sinonimo di musica alterna- tiva e oggi questa equazione non è più valida. È un discorso difficile da fare da parte nostra, una band che continua a girare l’Italia da quasi dieci anni con momenti alterni, ma che non ha avu- vestito. Per quel che riguarda in- vece la parte dei sentimenti, sia a livello testuale che musicale, si basa sulla nostra attuale sensibili- tà e al modo che abbiamo di sen- tire ciò che ci cir- conda. È un po’ il nostro tentativo di essere alterna- tivi a quest’epoca di standardizza- zione conforme, in cui si ha l’im- pressione di po- ter scegliere, ma in realtà si è meno liberi mentalmente rispetto al passato. Ecco, lavorando al nostro disco noi abbiamo cercato di essere liberi e sinceri, non preoccupan- doci di nulla se non dell’evoluzione arti- stica del nostro progetto musicale. Potete raccontare qualcosa sulla ge- nesi di “Pagliaccio”? Circa un anno fa, nel periodo prece- dente a Natale, siamo venuti a cono- scenza della storia di Anas Al Basha, il pagliaccio di Aleppo che aveva deciso di rimanere in Siria durante la guerra per portare un sorriso ai bambini e che proprio pochi giorni prima era morto durante a un bombardamento. Quest’e- 13