TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #6 | Page 38

ORSON una dedica all’acustica Si autodefinisce “non electric songwriter” e ha pubblicato un ep, “Here” che mantiene esattamente quello che promette: canzoni dirette e semplici, voce e chitarra, emozioni e intensità a livelli molto alti essere filtrati soltanto da me e d ​ al mio strumento. Ho sempre avuto un feeling particolare con l’acustica, è la chitarra su cui compongo tutte le canzoni​ e c ​ he mi ha seguito in tutti questi anni da una città all’altra fino al ritorno alla base, in Puglia, a Corato. Orson nasce come una dedica alla dimensione acu- stica, a quello che ho fatto nelle mie camerette sparse per l’Italia in tutti questi anni. Ma c’è di più. Avevo biso- Suonavi nella dream pop b ​ and d ​ ei Barbados, ora ti presenti con un ​disco da songwriter “non​-​elettrico”: puoi spiegare com’è maturata la scelta? Suono ancora nei Barbados. La band è viva e impegnata nella scrittura del primo ​LP. Orson​ è nato perché​ avevo dei pezzi scritti durante gli anni che mi sembravano adatti alla dimensione voce e chitarra, a un’ambientazione più intima e personale. Pezzi che dovevano 38 dato qualche consiglio, ascoltato atten- tamente. Faceva molto freddo e invece di ​andarcene in giro, d ​ i pezzi ne abbia- mo registrati cinque e non due. Il resto è tutto dentro quelle ​cinque​ tracce. La title track “Here” sembra frutto di una malinconia “dolce”: da quali senti- menti nasce e perché hai scelto il suo titolo per definire l’ep? Anche qui ti racconto una storia. Il pez- zo originariamente doveva chiamarsi “Where”, il titolo doveva fare da con- trappunto alla ripetizione ossessiva di “Here” durante tutta la canzone, dove- va porre una domanda la cui risposta poteva essere (ma anche no) trovata nelle liriche. Poi sono andato a suonare al circolo Arci La Mescla a Civitavec- chia, il primo live di Orson in assoluto, e i ragazzi​ di là il giorno dopo mi hanno girato un paio di video. Uno di questi era quello d ​ i “Where”. In fase di mon- taggio quando lo hanno pubblicato, ho visto che​ era stato ribattezzato “Here”, perché ​vallo a capi- re, ​a loro veniva più naturale così​. O for- se ​perché la dimen- sione spaziale è pro- prio lì (e qui), nel testo. Allora mi son detto​,​ ok ragazzi, avete ragione voi, sarà “Here” il nome. Tutto questo è ac- caduto molto prima che registrassi o che avessi un’idea più precisa di quello che doveva essere il disco. gno di confrontarmi co​n il​ palco da solo. Di salire, imbracciare la chitarra, guar- dare in faccia le persone che avevo da- vanti e suonare. P ​ erché ho sempre avuto timore e una certa ansia nell’af- frontare un pubblico. Che siano 100 persone o 3, amici o volti sconosciuti​, ​la sensazione è sempre quella. Mani di legno e voce rotta. Ho pensato che Or- son potesse essere anche un progetto terapeutico da questo punto di vista. Devo dire ​che la terapia funziona anche se si può sempre migliorare. Un ​disco nato “in cucina”, con l’aiuto di qualche amico e di un po’ di vino rosso: puoi raccontarci qualche altro particolare delle lavorazioni? ​​Versione breve: è una storia di amici- zia, questo è l’unico particolare che s ​ er- ve raccontare. Versione lunga: Wolfman Bob - aka Roberto Colella - doveva t ​ ornare per un weekend a Cora- to, il nostro paese a ​ 40 km a nord di Bari. Siamo amici da una vita​, ​mi ave- va confessato che avrebbe portato con sé un paio di microfoni, di quelli buoni, un registratore da field recording​ ​pro- fessionale​ ​e che gli sarebbe piaciuto registrare un paio di pezzi. Così l’ho invitato a cena: f ​ ocaccia, latticini​​ e una bottiglia di Nobile di Montepulciano rubata dalla cantina di mio padre. Poi è arrivato anche Gino, anche lui di base​ altrove​, a Bologna,anche lui amico da una vita, anche lui a Corato​ per​ quel weekend​. Così​ ci ha fatto compagnia, 39