preferisco farne uso quando un
brano ha già preso la sua for-
ma e devo per esempio curarne
l’arrangiamento o trovarne il
suono giusto.
“Flashmob” è uno dei due sin-
goli che hai scelto di estrarre
dall’ep. Una frase mi ha colpi-
ta particolarmente: “moto di
mediocrità nell’eterno ritorno
all’uguale”. Una visione piut-
tosto pessimista del mondo
in cui viviamo, sempre più
distratto e inumano. In che
modo le arti possono aiutare a
svegliare le coscienze dal tor-
pore in cui sono avvolte?
In realtà non mi ritengo pessi-
mista, tutt’altro. Se ci fai caso,
in tutte le mie canzoni, anche
quelle che nascono da qualco-
sa di triste o deludente, cerco
sempre di trovare un risvolto
positivo. “Flashmob” descrive il
moto omologato delle persone
che sembrano correre tutte nel-
la stessa direzione e senza una
meta. Ma quello che parla è
l’occhio di un osservatore esterno che si
astrae per un attimo dalla realtà, non
conoscendo quello che passa nell’anima
di ogni singolo individuo, spesso co-
stretta a muoversi in quel modo senza
volerlo o, peggio, senza farci caso.
Il messaggio che vuole trasmettere il
brano è proprio quello di fermarsi ogni
nella mia testa mentre cammino, men-
tre sono in metropolitana, mentre viag-
gio. In sostanza in quei momenti in cui
i pensieri sono liberi di fare il loro per-
corso senza impedimenti o costrizioni.
Per questo motivo, in tutta la mia vita
non ho praticamente mai scritto un
pezzo “a tavolino”. La precisione e il ri-
gore in ogni caso mi appartengono, ma
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tanto a guardare dove ci si trova, chi
si ha intorno. Ma soprattutto a uscire
dagli schemi che ci vengono imposti,
perché non saranno quelli a diventare i
nostri ricordi.
Prima di essere l’autore di “Sfere” ti
sei messo alla prova in diversi ambiti:
ho letto che hai fatto parte di un coro
gospel, che hai realizzato cortometrag-
gi e spot pubblicitari, e hai suonato e
cantato in diverse band in giro per l’I-
talia. Che cosa hai imparato da ognuna
di queste esperienze? A quale sei mag-
giormente legato?
Sì, è vero, ho avuto la fortu-
na di provare tante e diverse
esperienze a livello musicale,
alcune volutamente, altre un
po’ più per caso. Purtroppo non
ho studiato musica come si fa
al Conservatorio, ma la curio-
sità e la passione mi hanno
portato a imparare tanto sia
da me stesso sia dalle perso-
ne che ho incontrato. E’ come
quando si fa un bel viaggio
itinerante e si vedono pae-
si diversi e tanti volti nuovi.
Al ritorno è difficile dire che
cosa è piaciuto maggiormente,
proprio perché ogni situazio-
ne ha arricchito a suo modo il
bagaglio che ci si porta dietro.
Per esempio i lavori da studio,
come le musiche per cortome-
traggi o spot, mi hanno per-
messo di valorizzare e affinare la par-
te più tecnica da utilizzare per le mie
produzioni. Mentre le esperienze più
“rock” mi hanno aiutato a tirare fuori
la grinta, a superare le paure da palco
e allo stesso tempo a imparare a lavo-
rare in coesione con altri musicisti do-
tati di qualità molto diverse dalle mie.
Forse potrei risultare banale in questo
frangente, ma per motivi diversi mi
sento legato a ogni singola esperienza
che ho vissuto in ambito musicale.
Chiara Orsetti