TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #6 | Page 20

possa spiegare con parole relativamen- te semplici. Dal punto di vista sonoro hai cercato di andare un po’ oltre la classica ma- trice da songwriter di estrazione folk. Quali erano i tuoi obiettivi, da questo punto di vista, scrivendo l’ep? Ritieni di averli raggiunti tutti? La mia passione principale è la musica alternativa. Con i Valerihana mi risul- ta più facile sperimentare anche per il solo fatto di trovarmi in una band, ma quando si è da soli con una chitarra la creatività e la fantasia fanno da guida. Devi fare davvero le scelte giuste altri- menti sei scontato. Spesso e volentieri sdolcinato mi ha portato a cambiare qualcosa. Alla fine l´80% del reperto- rio che cantavo nelle varie band in cui suonavo era in inglese, quindi il pas- saggio non è stato poi cosi difficile. Ho vissuto molto tempo all’estero dove la maggior parte del tempo ho parlato (e parlo ancora) inglese, oltre allo svedese e a quella sorta di dialetto avellinese che uso quelle due volte al mese in cui chiamo a casa. Quando scrivo qualcosa lo faccio sempre in inglese perché mi ri- sulta più pratico, l’italiano è una lingua troppo complicata. Della lingua inglese mi piace il suono delle parole e il fatto che anche un concetto complesso lo si 20 tautorato per quanto riguarda la parte musicale. Una buona ispirazione, però, viene dall’Inghilterra e dagli USA anni 90’. Vivi a Stoccolma: che tipo di acco- glienza c’è per il tuo tipo di musica? Vivo ancora a Stoccolma e devo dire che apprezzo molto il fatto che qui non ci si spaventa dinanzi alla novità. Vuoi farli arrabbiare? Suonagli le cover. Ci si annoia facilmente nel vedere le cose ripetersi e il fatto che ci sia un’apertu- ra cosi forte verso le nuove culture ti fa capire quanta curiosità c’è nell’aria. La città cambia velocemente, si riempie di nuovi luoghi e persone, non passano un paio di mesi che ti ritrovi in un po- sto tutto nuovo. Non è difficile trovare occasioni per suonare. In tutti questi anni ho conosciuto molti musicisti e condiviso tante cose insieme a loro. Ho aiutato spesso una organizzazione che si chiama Stockholms Groove, che so- stiene e aiuta gli artisti emergenti. È davvero motivante poter essere di sup- porto a chi come me non desidera altro che essere ascoltato. Per il momento mi trovo bene qui, anche se nulla esclude la possibilità di tornare a casa. Non mi dispiacerebbe registrare un altro paio di canzoni nel posto in cui sono nato. La gran parte del supporto è sicura- mente venuta dalla mia famiglia, i miei amici e Stefano di AR Recordings che subisce costantemente i miei discorsi spesso senza un filo logico. accordo la chitarra in modo differente, uso molto il capotasto e vado alla ricer- ca di accordi che non avevo util izzato prima. L’idea, inizialmente, era quella di dare alle mie canzoni un indirizzo folk, un po’ alla Neil Young, per inten- derci, senza trascurare l’irruenza delle chitarre elettriche e del basso. È venu- to fuori, invece, il prevalere degli archi su tutto, cosa che non mi ha sorpreso più di tanto e ha semplicemente posti- cipato quello che volevo fare in questo album. Riguardo agli obiettivi, quello principale era cercare di stare meglio. La musica mi tiene compagnia quan- do sono solo e mi suggerisce cosa dire quando mi trovo davanti ad altre per- sone. Quindi se la domanda è se sono soddisfatto e felice di questo progetto, la risposta è sì. Quali sono i tuoi punti fermi musicali? Mi piacciono molto i Lemonheads, i Di- nosaur Jr., Bob Mould e i Superchun- ck. Queste band sono il fondamento di quello che faccio, li ascolto in continua- zione e sento che ho sempre molto da imparare da loro. Nel periodo che ha preceduto “Lunch at 12 since ‘82” ho ascoltato molto i Neutral Milk Hotel, J Mascis e The Cure, che di sicuro mi hanno dato la giusta spinta nel buttare giù queste cinque canzoni. Quanto alla musica italiana, mi piacciono molto Lu- cio Battisti, Bruno Lauzi e Pierangelo Bertoli. L’aver vissuto in Italia di sicu- ro mi ha influenzato in ambito di can- 21