TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #6 | Page 18

poco tempo trasformai la mia camera in un mini studio di registrazione e in paio di settimane avevo già un’idea ab- bastanza chiara di quello che sarebbe stato “Lunch at 12 since ‘82”. Appena le prime registrazioni presero forma, contattai qualche etichetta. Fui mol- to sorpreso quando la prima chiamata arrivò: “Ciao sono Sfefano quello di AR- recordings, ho sentito i pezzi che mi hai inviato e sono bellissimi”. Hai dedicato il disco all’abitudine di pranzare alla stessa ora ogni giorno dei tuoi genitori, e in genere ai capisal- di che tengono unite le persone. Come ti è venuta questa illuminazione e qua- vo bisogno di pensare più a me stesso, mangiavo cibo di merda, non dormivo la notte e pensavo a come non pensa- re. Non ero più convinto di quello che stavo facendo e lamentarsi non certo avrebbe aiutato a risolvere tutto que- sto. Dopo l’ultimo incontro con i Vale- rihana mi resi conto che era arrivato il momento, dopo quasi sei anni, di torna- re a casa. Erano anni che non passavo più di una settimana con la mia fami- glia. La situazione era perfetta, nella mia mente prendeva già forma lo sce- nario dell’esordio solista. Avevo bisogno soltanto di uno studio per registrare e un’etichetta che mi potesse seguire. In 18 li sono gli altri spunti su cui hai co- struito il disco? Vivere lontani da casa, a volte, fa di- menticare da dove veniamo e spinge spesso a cambiare abitudini. Pren- de il sopravvento il posto a sedere in metropolitana, le corse sulle sca- le mobili, l’ultimo del mese e i costi dell’affitto. Quando torni a casa tutto questo ti scivola via di dosso, sembra non appartenerti. Non mi ero mai soffermato così minuziosamente su tutto ciò che accadeva ai miei genito- ri. Qualche volta me li ero immagi- nati seduti a tavola, ma averli visti in carne e ossa ha avuto tutto un altro effetto. Quello che ho fatto per prendere spunto per le mie canzoni è stato osservare e fotografare per poi descrivere e spiegare. L’esigenza di pranzare alle 12 in punto è dettata un po’ dal fatto che mio padre sia un operaio, un po’ dalla cultura che sce- glie quell’orario preciso per fare un punto della situazione su ciò che ci accade o dovrà accadere. Le aziende lo chiamano meeting, io lo chiamo “lunch at 12”, mia madre lo chiama “a tavola che è pronto”. A parte analizzare quel- lo che accadeva in quel piccolo mondo familiare, il tema principale del disco trova spunto anche in molti episodi vis- suti a Stoccolma, tra tutte quelle bozze di canzoni che avevo per trovare quelle che rispecchiassero il tema di “Lunch at 12 since ’82” pur senza fare diretta- mente riferimento a mio padre e mia madre. Episodi come la fiducia verso chi ti circonda, l’adattarsi a un tipo di cultura praticamente nuova, il traslo- co, la voglia di scappare via. È come se lo stesso istante venisse vissuto in due posti diversi. Hai iniziato a scrivere canzoni in ita- liano ma poi hai scelto l’inglese: perché? All’inizio, un po’ la musica che ascolta- vo - prevalentemente in inglese - un po’ il fatto che tutto ciò che scrivevo suo- nava troppo melodico e terribilmente 19