TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #4 | Page 10

scientifico, o del telescopio astronomi- co. “Chimera” era un disco demolitore di utopie fallite del XX secolo. Questo è un album propositivo, che invita a puntare verso tecnologia pulita, am- biente, cultura e scienza come nuova utopia per superare questo lungo mo- mento di apocalisse collettiva genera- lizzata. E’ un album che sembra fred- do solo in apparenza, ma è molto più profondamente umano: sposta la sfera di indagine emotiva dal solito amo- re-morte-sociale delle canzoni, alla bellezza, la paura e lo spleen verso l’infinito e l’i- gnoto della natura. Il disco mi sembra, dal pun- to di vista dei suoni, più compatto e omogeneo dei precedenti. Quanto ha influito anche l’apporto di Flavio Ferri nel discorso? Il disco è più compatto e scorrevole innanzitutto perché era impossibile, vista la complessità delle tematiche trattate nei testi, creare anche un lin- guaggio sonoro articolato. Ho preferito l’approccio psichedelico elettronico o ambient pop, per dare un ingredien- te più spirituale e me ditativo, anche se detta così sembra un album new age, invece si parla di sfumature. E’ un album molto Ottodix. Volevo un sound vicino all’elettronica ’90, anche a tratti trip hop (Il mondo delle cose), ma anche con ingredienti dall’elet- prima di iniziare a scrivere. “Chimera” parlava di utopie ed era un disco “politico”, da un certo punto di vista. Invece qui hai deciso di occu- parti di aspetti galattici oppure micro- scopici, sostanzialmente “saltando” le miserie umane o quasi. Puoi spiegare perché? Come dicevo, in realtà le salto solo in apparenza, andando ad analizzare nei disegni più grandi e più piccoli di noi, tutto quello che può spiegare il nostro agire e gli errori in loop di cui la storia umana è piena. Nell’album ci sono canzoni come “Elettricità” che parlano chiaramente della tensione sociale e dell’odio latente, Ne “la Risonanza”, la fisica quantistica tenta simbo- licamente di spiegare perché i collet- tivi di animali o di materia simile, in natura, lavorino al meglio in gruppo, mentre l’uomo no (perché ha inventato l’economia e la competizione tra indi- vidui). Anche “Planisfera”, ragionando sulla rotondità del pianeta, suggerisce che i punti di vista sono tutti equiva- lenti, sopra una palla e che difendere un passato che non c’è più è assurdo, perché in natura tutto è in divenire, tutto ruota e gira. “Zodiacantus” è un attacco alla superstizione umana. In- somma, l’uomo è costantemente sotto il vetrino dell’analisi del microscopio 10 stol” è uscita tutta, mettendo una firma importante. E poi abbiamo discusso, anche scontrandoci, a casa sua a Bar- cellona, ogni singola nota e ogni detta- glio in un confronto umano molto sano e genuino. Devo ringraziare Flavio sia per quello che ha fatto in più che per avere rispettato i miei complessi provi- ni, portati in fase già molto avanzata di finitura. E’ un disco in cui mi riconosco molto e questo mi da sicurezza nel vo- lere in futuro ritentare la carta della co produzione. Sono un autarchico, era la prima volta per me. E’ comunque un al- bum nato e pensato tra Barcellona, l’I- talia, Pechino e Berlino, le cui voci sono state limate in California. Insomma, un album “planisferico” davvero, nato da più punti di vista. E bello da cantare tronica di ricerca come quella di Alva Noto (CERN), che dessero un taglio più astratto, da laboratorio, o lisergico al sound. Ho accettato l’invito di Flavio a condividere la produzione con gioia, dopo anni di collaborazioni a distanza e concerti aperti ai DeltaV da Ottodix (1999-2003). Era la persona adatta a valorizzare esattamente quegli aspetti. Il sound DeltaV per me è sempre stato un riferimento e guarda caso è servito per migliorare dei provini problematici come in CERN, brano dalla struttura complessa elettro-sinfonica, di cui vado molto fiero, o per far rinascere un bra- no come Planisfera, che non mi convin- ceva, facendolo diventare una delle co- lonne portanti dell’album. Ne “Il mondo delle cose”, poi, la sua “scuola di Bri- 11