scientifico, o del telescopio astronomi-
co. “Chimera” era un disco demolitore
di utopie fallite del XX secolo. Questo
è un album propositivo, che invita a
puntare verso tecnologia pulita, am-
biente, cultura e scienza come nuova
utopia per superare questo lungo mo-
mento di apocalisse collettiva genera-
lizzata. E’ un album che sembra fred-
do solo in apparenza, ma è molto più
profondamente umano: sposta la sfera
di indagine emotiva dal solito amo-
re-morte-sociale delle canzoni,
alla bellezza, la paura e lo
spleen verso l’infinito e l’i-
gnoto della natura.
Il disco mi sembra, dal pun-
to di vista dei suoni, più
compatto e omogeneo dei
precedenti. Quanto ha influito
anche l’apporto di Flavio Ferri
nel discorso?
Il
disco è più compatto e scorrevole
innanzitutto perché era impossibile,
vista la complessità delle tematiche
trattate nei testi, creare anche un lin-
guaggio sonoro articolato. Ho preferito
l’approccio psichedelico elettronico o
ambient pop, per dare un ingredien-
te più spirituale e me ditativo, anche
se detta così sembra un album new
age, invece si parla di sfumature. E’
un album molto Ottodix. Volevo un
sound vicino all’elettronica ’90, anche
a tratti trip hop (Il mondo delle cose),
ma anche con ingredienti dall’elet-
prima di iniziare a scrivere.
“Chimera” parlava di utopie ed era
un disco “politico”, da un certo punto
di vista. Invece qui hai deciso di occu-
parti di aspetti galattici oppure micro-
scopici, sostanzialmente “saltando” le
miserie umane o quasi. Puoi spiegare
perché?
Come dicevo, in realtà le salto solo in
apparenza, andando ad analizzare nei
disegni più grandi e più piccoli di noi,
tutto quello che può spiegare
il nostro agire e gli errori in
loop di cui la storia umana
è piena. Nell’album ci sono
canzoni come “Elettricità”
che parlano chiaramente
della tensione sociale e
dell’odio latente, Ne “la
Risonanza”, la fisica
quantistica tenta simbo-
licamente di spiegare perché i collet-
tivi di animali o di materia simile, in
natura, lavorino al meglio in gruppo,
mentre l’uomo no (perché ha inventato
l’economia e la competizione tra indi-
vidui). Anche “Planisfera”, ragionando
sulla rotondità del pianeta, suggerisce
che i punti di vista sono tutti equiva-
lenti, sopra una palla e che difendere
un passato che non c’è più è assurdo,
perché in natura tutto è in divenire,
tutto ruota e gira. “Zodiacantus” è un
attacco alla superstizione umana. In-
somma, l’uomo è costantemente sotto
il vetrino dell’analisi del microscopio
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stol” è uscita tutta, mettendo una firma
importante. E poi abbiamo discusso,
anche scontrandoci, a casa sua a Bar-
cellona, ogni singola nota e ogni detta-
glio in un confronto umano molto sano
e genuino. Devo ringraziare Flavio sia
per quello che ha fatto in più che per
avere rispettato i miei complessi provi-
ni, portati in fase già molto avanzata di
finitura. E’ un disco in cui mi riconosco
molto e questo mi da sicurezza nel vo-
lere in futuro ritentare la carta della co
produzione. Sono un autarchico, era la
prima volta per me. E’ comunque un al-
bum nato e pensato tra Barcellona, l’I-
talia, Pechino e Berlino, le cui voci sono
state limate in California. Insomma,
un album “planisferico” davvero, nato
da più punti di vista. E bello da cantare
tronica di ricerca come quella di Alva
Noto (CERN), che dessero un taglio più
astratto, da laboratorio, o lisergico al
sound. Ho accettato l’invito di Flavio
a condividere la produzione con gioia,
dopo anni di collaborazioni a distanza
e concerti aperti ai DeltaV da Ottodix
(1999-2003). Era la persona adatta a
valorizzare esattamente quegli aspetti.
Il sound DeltaV per me è sempre stato
un riferimento e guarda caso è servito
per migliorare dei provini problematici
come in CERN, brano dalla struttura
complessa elettro-sinfonica, di cui vado
molto fiero, o per far rinascere un bra-
no come Planisfera, che non mi convin-
ceva, facendolo diventare una delle co-
lonne portanti dell’album. Ne “Il mondo
delle cose”, poi, la sua “scuola di Bri-
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