seduta in prima fila, sua amante e assassina. Chiaramente non era un pezzo adatto a “Stare Bravi”, ma spero un
giorno di avere l’occasione di buttare
in un disco questa canzone. O, meglio,
farne la colonna sonora di un film. Non
ho mai pensato di poter fare il solista
mentre suonavo in gruppo, ma quel
giorno ho capito che era l’unica cosa
che potessi fare per andare avanti.
Se dovessi scegliere il sentimento prevalente che ha guidato le lavorazioni
di questo disco, quale sceglieresti?
Nostalgia, amore. Ansia. Prevalentemente ansia, quindi scelgo lei. Che mi
sveglia, mi organizza la giornata e mi
mette a dormire, a volte al buio e a volte un po’ più tardi.
Mi sembra che la ricerca di suoni per il
disco, oltre che una certa nostalgia del
synth pop, siano tesi a non mettere in
ombra la voce e il cantato. Una scelta
precisa o un percorso spontaneo?
Sulla voce la scelta è stata precisissima. Vladi (Vladimiro Orengo, produttore del disco) è stato particolarmente
attento a questo aspetto. Avremmo potuto fare due scelte, riverberarla molto, snaturarla e buttarla dentro il mix,
come uno strumento, o tenerla fuori,
bella forte e intellegibile. Abbiamo scelto la seconda, giocandoci tutto. E sono
contento. Sono canzoni italiane, sulla
voce si regge o crolla tutto. Partiti con
quest’idea, la scelta dei suoni è venuta
di conseguenza.
Come nasce “Sorridendo” e il concept
del relativo video?
Sorridendo nasce per ultima. È stata un lampo, dai primi due versi della
strofa al provino finito non sono passate 24 ore. Avevo un’idea sul testo, che
è poi l’inizio della prima strofa. Per la
melodia ho avuto cinque minuti fortunati di chitarra (sulle scale dello studio
in campagna dove quest’estate abbiamo
lavorato il disco), proprio poco prima
che scolassimo la pasta. Poi ci siamo divertiti. È il pezzo in cui Vladi ha messo
di più lo zampino sul testo, l’abbiamo
scritta praticamente a quattro mani e
due calici. Abbiamo deciso di insistere
sul tema del “passi” in modo ossessivo,
fare una canzone diversa dalle altre,
era l’ultima, briglia sciolta. La quadra
finale è stato il ritornello sorridente, in
antitesi con tutte le brutture descritte
nelle strofe. Ne avremo scritte dieci di
“Sorridendo” quella notte, poi abbiamo
preso i pezzi migliori. Il video è stato
realizzato da Andrea Dutto. Dopo qualche sera di chiacchere e un paio di altri
tentativi, ci siamo resi conto della forza
comunicativa del bambino che piange sulle piste da sci. Posso assicurare
io, per esperienza personale, il bimbo
piangente sulle piste non è consolabile.
È nel pieno della tragedia, è disperazione pura. E quel particolare tipo di
sofferenza, unito ai timidi sorrisi che
i bimbi nel video si lasciano scappare,
ci è sembrato potesse ben interpretare
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misogino. Io stesso sono una finta intellettuale, purtroppo. Mi guardo spesso
allo specchio e oggi non so fare il punto
della mia vita.
Chi stimi tra i musicisti indipendenti?
Li chiamo indipendenti per augurargli il mainstream. Alcuni già ci sono.
Motta mi è piaciuto da morire, ce l’ho
in playlist. Sto apprezzando molto Thegiornalisti e Ex-Otago. Rivolgendoci
a Torino, non ho mai nascosto il mio
amore per i Nadàr Solo, in particolare
per i testi di Matteo. Ah, Leo Pari! (lo
stomaco mi avverte (cambio di stagione
/ tutti hanno una donna cosa c’è di strano / c’è solo una coperta sopra il mio
divano), mi sono incazzato parecchio
per non averla scritta io. Grande. The
Zen Circus, non sono della mia generazione ma lo saranno sempre, in realtà,
e li amo per questo. L’ultimo disco mi
ha spezzato in due. Li canto sotto la
doccia, forte. Verano.
È passata da artista
stimata ad amica,
stiamo lavorando
insieme a delle cose.
È un angelo e dentro
le brucia qualcosa,
è brava, fa venir voglia di piangere e
scrivere. E Niccolò
Contessa, che ha
scritto forse l’album
più bello, semplice e
complesso del 2016.
il mood della canzone. Qualcuno ci ha
letto speranza, ma non sarei onesto nel
confermare.
Altro pezzo che mi ha incuriosito è “Le
finte intellettuali”: come nasce?
Questo pezzo invece è uno dei primi.
Ho strofe pressoché identiche in quaderni del 2012, è un’idea che mi girava
in testa da un po’. Era rivolta a un’amica di infanzia (non lo sa, e comunque
sarebbe più onesto dire conoscente),
che dopo anni avevo ritrovato su Facebook con mezza testa rasata, tatuaggi,
modelling attitude, sguardi intriganti,
foto assurde etc etc. Ora è la norma,
ma all’epoca mi aveva colpito. Sia chiaro, il mio non è assolutamente un giudizio morale. Ricordo solo che ho pensato: “Cazzo!”. E poi ho iniziato a tirare
giù dei versi. Poi la cosa si è evoluta,
dalla sua immagine è nata l’idea della
finta intellettuale, Torino ne è piena,
e fine. Un ragazzo
su Instagram mi ha
scritto che si è innamorato di “Finte Intellettuali” “perché
parla esattamente
della mia ex, stronza maledetta, la
odio!”. Poi ha firmato con un cuore. Non
era quello il mio intento. Condannare
una categoria intendo. Non è un testo
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