TRAKS INTERVIEW TRAKS INTERVIEW #2 | Page 40

seduta in prima fila, sua amante e assassina. Chiaramente non era un pezzo adatto a “Stare Bravi”, ma spero un giorno di avere l’occasione di buttare in un disco questa canzone. O, meglio, farne la colonna sonora di un film. Non ho mai pensato di poter fare il solista mentre suonavo in gruppo, ma quel giorno ho capito che era l’unica cosa che potessi fare per andare avanti. Se dovessi scegliere il sentimento prevalente che ha guidato le lavorazioni di questo disco, quale sceglieresti? Nostalgia, amore. Ansia. Prevalentemente ansia, quindi scelgo lei. Che mi sveglia, mi organizza la giornata e mi mette a dormire, a volte al buio e a volte un po’ più tardi. Mi sembra che la ricerca di suoni per il disco, oltre che una certa nostalgia del synth pop, siano tesi a non mettere in ombra la voce e il cantato. Una scelta precisa o un percorso spontaneo? Sulla voce la scelta è stata precisissima. Vladi (Vladimiro Orengo, produttore del disco) è stato particolarmente attento a questo aspetto. Avremmo potuto fare due scelte, riverberarla molto, snaturarla e buttarla dentro il mix, come uno strumento, o tenerla fuori, bella forte e intellegibile. Abbiamo scelto la seconda, giocandoci tutto. E sono contento. Sono canzoni italiane, sulla voce si regge o crolla tutto. Partiti con quest’idea, la scelta dei suoni è venuta di conseguenza. Come nasce “Sorridendo” e il concept del relativo video? Sorridendo nasce per ultima. È stata un lampo, dai primi due versi della strofa al provino finito non sono passate 24 ore. Avevo un’idea sul testo, che è poi l’inizio della prima strofa. Per la melodia ho avuto cinque minuti fortunati di chitarra (sulle scale dello studio in campagna dove quest’estate abbiamo lavorato il disco), proprio poco prima che scolassimo la pasta. Poi ci siamo divertiti. È il pezzo in cui Vladi ha messo di più lo zampino sul testo, l’abbiamo scritta praticamente a quattro mani e due calici. Abbiamo deciso di insistere sul tema del “passi” in modo ossessivo, fare una canzone diversa dalle altre, era l’ultima, briglia sciolta. La quadra finale è stato il ritornello sorridente, in antitesi con tutte le brutture descritte nelle strofe. Ne avremo scritte dieci di “Sorridendo” quella notte, poi abbiamo preso i pezzi migliori. Il video è stato realizzato da Andrea Dutto. Dopo qualche sera di chiacchere e un paio di altri tentativi, ci siamo resi conto della forza comunicativa del bambino che piange sulle piste da sci. Posso assicurare io, per esperienza personale, il bimbo piangente sulle piste non è consolabile. È nel pieno della tragedia, è disperazione pura. E quel particolare tipo di sofferenza, unito ai timidi sorrisi che i bimbi nel video si lasciano scappare, ci è sembrato potesse ben interpretare 40 misogino. Io stesso sono una finta intellettuale, purtroppo. Mi guardo spesso allo specchio e oggi non so fare il punto della mia vita. Chi stimi tra i musicisti indipendenti? Li chiamo indipendenti per augurargli il mainstream. Alcuni già ci sono. Motta mi è piaciuto da morire, ce l’ho in playlist. Sto apprezzando molto Thegiornalisti e Ex-Otago. Rivolgendoci a Torino, non ho mai nascosto il mio amore per i Nadàr Solo, in particolare per i testi di Matteo. Ah, Leo Pari! (lo stomaco mi avverte (cambio di stagione / tutti hanno una donna cosa c’è di strano / c’è solo una coperta sopra il mio divano), mi sono incazzato parecchio per non averla scritta io. Grande. The Zen Circus, non sono della mia generazione ma lo saranno sempre, in realtà, e li amo per questo. L’ultimo disco mi ha spezzato in due. Li canto sotto la doccia, forte. Verano. È passata da artista stimata ad amica, stiamo lavorando insieme a delle cose. È un angelo e dentro le brucia qualcosa, è brava, fa venir voglia di piangere e scrivere. E Niccolò Contessa, che ha scritto forse l’album più bello, semplice e complesso del 2016. il mood della canzone. Qualcuno ci ha letto speranza, ma non sarei onesto nel confermare. Altro pezzo che mi ha incuriosito è “Le finte intellettuali”: come nasce? Questo pezzo invece è uno dei primi. Ho strofe pressoché identiche in quaderni del 2012, è un’idea che mi girava in testa da un po’. Era rivolta a un’amica di infanzia (non lo sa, e comunque sarebbe più onesto dire conoscente), che dopo anni avevo ritrovato su Facebook con mezza testa rasata, tatuaggi, modelling attitude, sguardi intriganti, foto assurde etc etc. Ora è la norma, ma all’epoca mi aveva colpito. Sia chiaro, il mio non è assolutamente un giudizio morale. Ricordo solo che ho pensato: “Cazzo!”. E poi ho iniziato a tirare giù dei versi. Poi la cosa si è evoluta, dalla sua immagine è nata l’idea della finta intellettuale, Torino ne è piena, e fine. Un ragazzo su Instagram mi ha scritto che si è innamorato di “Finte Intellettuali” “perché parla esattamente della mia ex, stronza maledetta, la odio!”. Poi ha firmato con un cuore. Non era quello il mio intento. Condannare una categoria intendo. Non è un testo 41