che abbiamo registrato con una tradi-
zionale formazione acustica. Era un
primo esperimento e con i brani scritti
per il progetto The Soul Mutation credo
che stiamo davvero iniziando a esplo-
rare nuovi ambienti musicali: i ritmi
sono più complessi, le atmosfere cam-
biano radicalmente da brano a brano,
anche il mio modo di cantare ha dovuto
adattarsi agli spigoli di queste nuove
composizioni di Francesco e alla ritmi-
ca che a volte è molto incalzante e altre
volte disegna paesaggi più rarefatti.
Scrivere la nostra musica nasce dall’e-
sigenza di sviluppare a modo nostro il
linguaggio jazzistico che, utilizzando
(il batterista che ci ha accompagnato
in questo lavoro) e quindi siamo andati
a registrare. L’idea era di creare una
varietà di ambienti sonori, sfruttando
al massimo le potenzialità di ognuno di
noi: essendo solo in tre abbiamo dovuto
spremere al massimo la nostra creati-
vità. In tre brani è intervenuto Giulio
Corini al contrabbasso, per sottolineare
il senso di intimità e leggerezza.
Al contrario che nel vostro esordio,
questa volta niente cover. Una scelta
di “maturità” per il vostro combo o
un’affermazione di personalità?
Io e Francesco abbiamo iniziato a scri-
vere brani nostri già nel 2010, brani
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brani scritti
da altri, ab-
biamo pra-
ticato per
anni e che ci
ha portato
a realizza-
re alcuni cd
di “cover”.
Alla fine il
materiale di
altri autori
ha iniziato a
starci stret-
to: il presen-
te ha vinto
sul passato
e da qui l’esigenza di scrivere una mu-
sica “nuova”, di trovare nuove vie di
espressione.
Come nasce “Yes I’m Lonely (Yer
Blues reloaded)”?
Quando Francesco mi ha fatto ascoltare
la melodia di questo brano per la prima
volta, mi è venuto subito in mente “Yer
Blues” la canzone che John Lennon
scrisse e cantó con i Beatles (nel gran-
dioso “White Album”). Non riuscivo a
staccarmi da questa idea e allora l’ho
cavalcata: le citazioni sono evidenti.
Ma anche qui l’attualità ha fatto brec-
cia (ecco perché “reloaded” come Ma-
trix!): alla fine il testo ha deciso di rac-
contare di qualcuno che è triste perché
è lontano da casa, dorme per strada,
ma spera un giorno di trovare un lavo-
ro e stare meglio, anche se al momento
è bloccato dietro un muro e la notte so-
gna di saper volare...
Perché avete deciso i tre momenti di
sperimentazione “solista” nel disco?
Volevamo creare degli stacchi in alcu-
ni punti dell’album, qualcosa che non
avesse la struttura di una canzone,
qualcosa di assolutamente libero ed
estemporaneo. Come il vuoto della me-
ditazione nel delirio quotidiano; come
chiudere gli occhi, guardarsi dentro e
riuscire a capire ed esprimere ciò che
proviamo, ma senza utilizzare razio-
nalità e linguaggio. Si tratta di tre mo-
menti di libertà assoluta e realizzati
davvero sull’onda di un istinto o di un’i-
spirazione del momento. E non poteva-
no essere altro che fatti “in solitaria”:
se ti vuoi guardare dentro per davvero,
devi essere solo.
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