the mente giugno 2014 | Page 42

Gli anziani rimangono persone in gamba, proprio perché la gente è molto socievole, quindi non c’è la paura della solitudine, soprattutto nei villaggi, dove si vive in comunità. Se c’è qualche problema si chiede consiglio agli anziani saggi della famiglia. Non penso che questa vada considerata una critica verso coloro che studiano psicologia, è che gli africani, in generale, hanno una concezione molto diversa della medicina; sono molto legati alla terra e al rispetto della Natura. Ricordo ancora che, quando mi ero ferita alla caviglia, nel villaggio, per far rimarginare la ferita l’ avevano tamponata con delle foglie dalle particolari proprietà curative, che effettivamente si erano dimostrate efficaci. Ora, riferendomi alla mia frase iniziale, il viaggio doveva essere un modo per curarmi: curarmi da stress, stanchezza, tristezza, rabbia; un modo per allontanarmi dalle amicizie false, una maniera per alleviare e “abbandonare”, anche se per poco, le preoccupazioni e i problemi. Non è stato così. Il viaggio, al contrario, mi ha lasciato un senso di vuoto e smarrimento una volta tornata. Solo a distanza di qualche settimana ho capito che il viaggio mi ha insegnato ad affrontare i problemi in maniera diversa e a vedere la realtà da diverse angolature e punti di vista. Ogni tanto ripenso al mese passato in Burkina e, anche se lo nascondo, spesso mi scende una lacrima; è una lacrima di malinconia. “E’ IL MAL D’AFRICA” dice mia mamma. E’ davvero così: dopo tanto tempo capisci da dove vieni, chi è la tua gente… sai di far parte di quella che tutti noi, e solo noi con orgoglio, chiamiamo “MAMAH AFRICA”, sulla quale potrai contare in ogni momento. Lei ha patito e patisce tutt’ora però, una volta che ti ospita, capisci di non poterne più farne a meno. Fatimata Bance TERZO CLASSIFICATO — concorso letterario Ricordi di guerra Il mio nome è Milijana. Sono nata nel 1980 in Bosnia, in un paesino in cui la maggior parte degli abitanti era (ed è tuttora) musulmana. Sono l'ultima di quattro figli (due sorelle e due fratelli). Mio padre era stato operato al cuore da giovane. Aveva una pensione di invalidità che arrotondava commerciando tra la Bosnia e la Serbia con il suo furgoncino. Mia madre aveva diciasette anni quando lo sposò. Dei miei primi anni ricordo poco. Ricordo che costruimmo quattro case. Avevamo il cortile sempre pieno di uomini al lavoro e mia madre era solita mescolare il calcestruzzo. Ricordo il giorno in cui il maggiore dei miei fratelli, Milun, partì per servire l'esercito in marina. Mia sorella, che allora aveva vent’ anni e lavorava in un'altra città, aveva pianto. Dopo l'anno di leva obbligatorio, Milun andò in Austria e più tardi in Germania. Ci scriveva spesso. Nelle sue lettere ci raccontava di quanto fosse bella la Germania, di come stesse bene e tutti fossero gentili. Una volta, però, lessi la risposta che mio padre gli mandò: “Non arrenderti, cerca di trovare un lavoro e di rimanere in Germania. Qualsiasi cosa succeda, non tornare: sarai più utile a tutti rimanendo lì!”. Quanto aveva ragione. Aveva ragione su molte cose, mio padre... Poi scoppiò la guerra. Mio padre non poteva servire l'esercito, Milun era all'estero e l'altro fratello era troppo piccolo, così toccò a mia madre: fu arruolata come cuoca. Nel campo dove lavorava, ogni giorno vede42