aveva fatto altre volte ricopiando personaggi del Perugino.
Pure di netta derivazione peruginesca è lo sguardo rivolto verso l’alto di Frate
Leone, che già ricorreva nel frammento di affresco con San Pietro Martire nella
Pinacoteca di Varallo e nel gruppo di Gesù Bambino ed Angeli nel polittico di S.
Gaudenzio di Novara, pressoché coevo alla lunetta delle Stigmate.
Protagonista della pala del Sacro Monte è il gesto largo delle braccia spalancate di S.Francesco, che si espande nello spazio, sottolineato anche dall’ampia curva falcata dell’orlo del saio, caratteristica inconfondibile del più schietto
empito grafico del pittore. Tale impostazione generale sarà ripresa poi da varie
altre redazioni dello stesso soggetto in area valsesiana, dall’affresco sovrastante
la porta dall’antica residenza dei Frati, ora Casa degli Oblati sullo stesso Sacro
Monte, anteriore al 1540, a quello più umile dell’oratorio di Dughera nella
valle di Rassa, all’altro di identico impianto iconografico nella chiesa parrocchiale di Prato Sesia, forse dovuta a Pietro Renulfo, anteriore al 1593-94. Altre
raffigurazioni ancora seguiranno nei secoli successivi nella Casa degli Oblati al
Sacro Monte (uno sulla portina del corridoio che fiancheggia la sacrestia, uno
all’inizio della rampa di scale che scende al piano inferiore, uno ancora in un
edicola, o pilone nel giardino dei Padri.
Che la grande lunetta delle Stigmate sia opera di Gaudenzio, da quanto si
è detto anche nelle precedenti puntate, mi pare scontato, ed oggi nessuno ne
dubita dopo gli accurati, recenti restauri.
Il primo dato in proposito, come già si è visto, per il Trasporto di Gesù al
sepolcro, risale alle guide del 1556 e del 1570, in cui la pala è esplicitamente assegnata a Gaudenzio nella parte introduttiva in prosa, mentre viene ampiamente
lodata nella successiva parte in poesia:
“Ne fu dipinta mai di bel colore Cosa d’alcun di fama non oscura, Che un San
Francesco possa pareggiare Pinto più inanzi sopra d’un altare”.
Questi stessi versi verranno poi ristampati pari pari in tutte le successive guide del tardo Cinquecento.
L’opera del Bascapè
Anche il vescovo Bascapè nella relazione della sua prima visita sul Monte (settembre 1593) cita il dipinto come opera del maestro valduggese. Similmente lo
ribadiscono nel Seicento il notaio Gasparino nel 1663, poi il Fassola ed il Torrrotti. Per quasi tutto il Settecento invece le varie guide o direttorii si limitano a
dire che la cappella era “già dipinta dal famoso Gaudenzo”. Lungo tutto l’Ottocento l’autografia gaudenziana non viene mai messa in discussione. È solo negli
anni Quaranta del Novecento che si avanzano dei dubbi, soprattutto da parte di
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