SeaCastle Magazine SeacastleMagazine n.3 sett-ott.2017 | Page 22

PERSONAGGI / OUR CHARACTERS La surciara racconto di Vincenzo Di Pasquale L a surciara arrivò al tramonto, aveva il capo coperto da un fazzoletto nero con le cocche annodate sotto il mento ossuto ed era avvolta da uno scialle di cotone ancora più nero. Ad ogni passo scomposto, su di un fianco danzavano sudice frange penzolanti dall’orlo, ultime propaggini delle gramaglie che portava addosso. L’ombra si incurvava su una collina di gobba. A vederla da lontano sembrava una minacciosa nuvola d’acqua, ma non appena si avvicinava si schiariva: dal volto sbiancato le usciva un sorriso sdentato e di tanto in tanto un ciuffo grigio le pennellava la fronte rugosa. Lei, con un gesto meccanico, se lo cacciava dentro il velo nero che incorniciava la testa a pera. Il marito era morto da alcuni mesi. Una mala caduta dal carretto gli aveva provocato una profonda ferita al capo, un taglio dal quale era uscita materia 22 S ea C astle M agazine grigia. Era morto con un rantolo, dissanguato il pover’uomo, nelle grasse campagne di Balata di Baida. Cavallo e carretto avevano proseguito alla campia. Durante la notte erano arrivati al borgo di case e l’acciottolio nervoso e disordinato, senza governi, aveva svegliato i balatari. Non era buon segno. Perciò gli uomini, scupetta a tracolla, si misero alla ricerca del proprietario. Lo trovarono cadavere e con un lento segno di croce commentarono amaramente: ”Mischinu, zu Paulu, sa runni codda la so arma!”. La sua anima vagava nel nulla, dopo essersi strappata dal misero corpo riverso con la testa impasticciata tra terra e sangue. Non avevano figli don Paolo e donna Maria. La vedova era riuscita a vendere cavallo e carretto a buon prezzo, perché l’animale godeva di ottima salute e conosceva la strada del mulino. Con il ricavo ci avrebbe potuto campare per quel che le restava da vivere e con la casa di proprietà, grazie a Dio, non avrebbe avuto grossi pensieri. I proprietari del mulino di Castellammare, per onorare l’onestà del carrettiere - mai una manciata di farina era mancata da quei sacchi - chiamarono la moglie per affidarle un lavoro particolare. Fu così che la za Maria ritornò a fare la surciara, pratica che aveva ereditato dalla nonna materna e che una volta sposata aveva abbandonato. Per ogni topo preso i mugnai le avrebbero offerto un pugno di farina, ma di prima qualità, s’intende. Quel pomeriggio la surciara era giunta a Castellammare a piedi e si recava, per l’appunto, al mulino per acciuffare i maledetti topi che di notte sbafavano farina e crusca a