pre lo stesso. Riuscii a introdurmi in casa senza problemi.
Vagai per le stanze buie per quasi un’ora, senza arrischiarmi
ad accendere la torcia elettrica per non attirare l’attenzione
di qualcuno. Non so esattamente cosa cercassi: una prova
per suffragare le mie ipotesi bizzarre, forse; ma in fondo neanche io ci credevo: ero solo geloso, arrabbiato e sì, anche
invidioso. Cominciai a sentirmi molto stupido e stavo per
andarmene quando un suono attirò la mia attenzione. Tesi
l’orecchio: il suono si ripeté. Era un gemito, seguito da uno
strascichìo. Proveniva da sotto i miei piedi. In cucina trovai
una porta che dava su una ripida rampa di scale. Accesi la
torcia e mi inoltrai nel buio, mentre i rumori diventavano
più forti, più insistenti.
Raggiunto l’ultimo gradino, mi guardai intorno. Un filo di
luce entrava da una sottile griglia vicino al soffitto dello scantinato. Ovunque c’erano scatoloni accatastati, attrezzi, cose
rimaste dal trasloco di Megan. Il rumore proveniva da una
parete, dietro un cumulo di roba. Rimossi le casse, poi battei
sulla parete: i gemiti raggiunsero il parossismo. Chiunque
fosse doveva avere sentito i miei passi avvicinarsi. Un animale, probabilmente. Che diavolo ci faceva là sotto? Afferrai
una pala e con forza colpì il muro; solo che non era un muro,
ma una parete di cartongesso: in pochi istanti mi aprii un
passaggio.
All’interno di un piccolo ambiente c’erano due cose che al
principio scambiai per vecchi manichini: erano due corpi
umani mummificati. Poco distante, un uomo legato e imbavagliato mi guardava con occhi accesi dalla follia. Era Paul!
Dopo essermi ripreso dallo shock di quella visione spaventosa, istintivamente mi chinai e gli tolsi la benda dalla bocca:
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