e poi ebbe il coraggio di presentare in redazione la bozza di
un romanzo gotico. - Userò uno pseudonimo, naturalmente.
Ma è tutta farina del mio sacco. - disse sfacciatamente.
La maggior parte di noi avrebbe voluto riderle in faccia, ma
ci sentivamo in obbligo di leggere la sua storia, se non altro
per prenderci gioco di lei a ragion veduta. Arrivati all’ultima
pagina avevamo smesso di ridere da un pezzo: era roba buona, dannatamente buona. Fece un esordio col botto: in una
settimana vendette mezzo milione di copie.
Mi allentai il nodo della cravatta e mi versai un altro goccio.
Presi in mano la copia del Ladro di storie, il suo secondo
romanzo. Non l’avevo letto per gelosia, ma sapevo a grandi
linee di cosa parlava: un mostro soprannaturale che uccideva scrittori alle prime armi e poi pubblicava i loro romanzi
sotto un nome fittizio. Alla fine l’ultimo autore mangiava la
foglia e sconfiggeva la bestia in un epico scontro. Sarebbe
stato l’ennesimo successo. Chiusi gli occhi. La mia mente, offuscata dall’alcol, cominciò il gioco delle libere associazioni.
Poco dopo sobbalzai sulla poltrona. Oh, be’, Megan in fondo
era sempre stata un mostro.
Un’ora più tardi ero davanti alla nuova casa di Megan, una
villa a due piani in stile coloniale dove si era trasferita dopo
il successo editoriale. Una sottile falce di luna faceva risplendere le candide assi della facciata; le finestre erano tutte buie.
Bevvi un’altra sorsata di whiskey dalla bottiglia e mi guardai
intorno: la strada era deserta e la sua macchina non c’era.
Uscii dall’auto.
Megan era una creatura abitudinaria: la chiave era nascosta
nel terzo vaso dall’ingresso e il codice dell’allarme era sem-
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