giore età, era The unseen, il mio primo singolo, primo numero
uno, primo Grammy Award … Quanto Tempo!
R.S. Bé, ti ringrazio di cuore! Non ricordo una sola intervista in cui tu abbia raccontato questa storia. È quasi un
romanzo.
Sai, solitamente, quando capita di intervistare un cantante per la prima volta, si ha sempre il timore che la
sua eloquenza non sia all’altezza delle note. Devo dire
che tanta generosità sul palco e in studio non si è smentita nemmeno adesso.
Z. Ti ringrazio! Bé, è pericoloso cercare di vivere all’altezza
delle proprie parole, o della propria arte. Ne conosco tanti che
sono finiti vittima del proprio personaggio. Di Freddie Mercury, ad esempio, ricordo quanto soffrisse per il fatto che molti lo avvicinavano solo perché in scena era un animale sessuale, o perché, per la delicatezza angelica con cui cantava
e suonava il piano, veniva adorato come un menestrello, una
specie di fenomeno da circo. Dapprima reagiva con durezza.
Poi, dietro un’apparente ironia, ha cominciato a conviverci.
Ma comunque non era felice. Spendeva per se e per chi aveva
attorno continuamente, come se dovesse dimostrare di essere
un grande istrione anche fuori dal lavoro. E così che succede,
quando sei famoso, invece di rafforzarti diventi più malleabile
e sei ciò che la gente vuole che tu sia. Ti accomodi in questa
idea per sopravvivere, ma ci stai male da cani! Ce ne ho messo
per rendermi conto che vivevo in funzione delle aspettative altrui. E come Freddie, la cosa che mi è sempre riuscita meglio, è
raccontare tutto in musica. Una follia, un controsenso, se vuoi.
Riesci ad analizzare il problema e lo canti, ma nella realtà
non applichi la soluzione! Assurdo! Bé, nemmeno tanto forse.
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