- Non c’è altra spiegazione. Deve averlo saputo da qualcuno se
né tu né io abbiamo mai parlato dell’accaduto in sua presenza… - Ma neanche quando lui non c’era ne abbiamo mai parlato… - Appunto. Da quando Adam è qui non abbiamo più pronunciato
nemmeno il nome di lei. Nemmeno una volta. Jonathan tacque e pensò al modo in cui la comparsa di Adam e
la sua repentina crescita e la gioia che aveva provato per avere
avuto un secondo figlio gli avesse fatto dimenticare il dolore del
lutto. Erano anni che non andava a trovare la piccola Elke al cimitero. Non ci andava più da quando c’era lui.
- Gli parlerò io. - disse allora, risoluto. - È come dici tu: l’ha sentito
da qualcuno. - - Jonathan, non… - No, cara, non voglio che il bambino sia scosso da fatti che tutti,
noi per primi, abbiamo sepolto. Il passato va dimenticato, non
dissotterrato. Questi sono fatti che riguardano la nostra famiglia
e non trovo giusto che altri ficchino il naso in affari così privati. - Ma cosa speri di ottenere? Cosa speri di fare, se anche ti dicesse
da chi l’ha saputo? - A questo ci penserò in un secondo momento. Ora scusami, cara,
ma voglio parlare con mio figlio. Detto ciò, Jonathan si congedò da una sempre più perplessa Dagmar e si avvicinò alla cameretta di Adam. Ma, mentre stava per
aprire la porta, udì la voce del bambino proveniente dall’interno.
Jonathan rimase in ascolto, cercando di afferrare la conversazione o il monologo (anche se spesso Adam faceva alcune pause, il
che gli diede da pensare che stesse parlando con qualcuno).
Quando sentì Adam dire - È qui fuori che ascolta - Jonathan si
decise ad entrare.
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