maledetto e sconvolgente luogo di morte, era priva di finestre:
solo vivaci e isteriche telecamere poste nei punti più alti e irraggiungibili. Eterni e instancabili occhi di feroci cani di un’assurda
guerra psicologica in perpetuo movimento angolare, allo scopo
di cogliere l’attimo fuggente della disperazione e della ferocia
umane. Silenziose e onnipresenti testoline di polifemici scrutatori elettronici. E quello era il loro indisturbato terreno di caccia
visiva.
In realtà poteva trattarsi in maniera plausibile di una dimensione,
più che di un luogo: la mancanza di uscite, di finestre, di qualsiasi
passaggio praticabile con l’ambiente esterno, lo facevano somigliare a un laboratorio isolato, sospeso nello spazio e nel tempo, per la sperimentazione degli orrori indotti. Per quel che la
riguardava il posto poteva essere situato sottoterra o sulla luna;
o in una fossa marina nelle profondità oceaniche. Non cambiava
molto.
Specchi, specchi, specchi… Disseminati dappertutto, forse in sostituzione delle pareti, a ricoprire qualcosa o a F