aforismi di un notissimo artista americano di cui lei non ricordava mai il nome, forse perché troppo complicato da pronunciare
o forse perché non gliene importava granché di saperlo, quello
appassionato di bottiglie, scatole di cibo e di altre diavolerie che
spacciava per arte e che si divertì a dipingere il ritratto multicolore della defunta Marilyn Monroe.
Ma perché questi ricordi? Cosa le veniva in mente durante un
momento così brutto? Stava impazzendo? O era un tentativo di
spiegazione progettato dal suo inconscio? Doveva reagire: la realtà incombeva.
Spinta da un impeto risolutivo, più che altro dettato dalla disperazione, si avvicinò all’unico e ovvio punto d’uscita offerto da una
veloce esplorazione visiva della stanza: la porta.
Sarà sicuramente sbarrata, pensò troppo realisticamente, dal
momento che aveva già cominciato ad accettare il suo nuovo
ruolo di prigi oniera.
Appoggiando la mano sulla maniglia e piegandola lentamente ma
con forza, invece constatò la cosa più improbabile che le potesse
passare nella mente durante quei minuti di terrore: la porta si
apriva e non era affatto chiusa a chiave.
Colta da una zaffata di improvviso ottimismo, rimase ulteriormente sorpresa dall’immensa luce che la travolse, quasi accecandola, proveniente da quello che sembrava a tutti gli effetti
un corridoio. Bianco, lucidissimo, illuminato a giorno da potenti
neon, il corridoio sembrava non avere nulla a che fare con la cupa
stamberga in cui s’era risvegliata.
Il presunto maniaco si era inspiegabilmente distratto lasciando
la porta aperta oppure quel corridoio apparteneva a uno sconosciuto e moderno studio televisivo e lei era soltanto la vittima
traumatizzata di una delle più feroci candid camera della storia
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