te a edifici e uffici importanti, per sorvegliare il traffico umano e
veicolare. Accanto all’occhio, all’obiettivo, una piccola luce rossa
accesa ne denunciava l’attività in tempo reale. Qualcuno la stava
osservando.
- Aiuto, c’è nessuno? Per carità, rispondete…! - si lasciò sfuggire,
inghiottendo l’impulso di piangere, quella richiesta liberatoria di
soccorso, guardando l’obiettivo della telecamera come il devoto
in chiesa osserva attentamente gli occhi del santo preferito in
attesa di segni.
Niente da fare: solo un quasi impercettibile spostamento della
telecamera per meglio centrare il volto della ragazza rigato dalle
lacrime che non aveva saputo più trattenere. E il morbido movimento della meccanica interna all’obiettivo quale prova di una
zoomata in atto: non era la semplice registrazione di un sistema
televisivo a circuito chiuso. Esisteva una mente esigente dietro
quella continua ricerca dell’immagine perfetta: spostare, zoomare, centrare, cercare, inquadrare, inseguire… Un occhio insaziabile e silenzioso colmava, paradossalmente e tragicamente, il bisogno ricercato di notorietà da parte della ragazza.
In futuro ognuno avrà i suoi quindici minuti di celebrità, ricordò
improvvisamente quella frase citata da un suo amico studioso di
arte e di comunicazione, tempo addietro, durante una di quelle
cene mondane con sedicenti produttori e amici di registi, dove ci
si incontra con altre decine di persone fintamente rilassate ma interiormente agguerrite perché insoddisfatte, ognuna alla ricerca
di qualcosa, ognuna con il proprio bagaglio di saggezza o di stupidità, di bellezza, di comicità da mettere in mostra nella speranza
di essere notati da qualche talent scout di passaggio. Una citazione, più che una frase, che l’amico intellettuale, ormai già alla
sesta coppa di champagne, aveva preso in prestito dal paniere di
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