Le calze sfilate e lacerate all’altezza delle ginocchia lievemente
abrase, e il dolore avvertito durante il risveglio proveniente dagli
arti inferiori, diedero alla ragazza la terribile certezza di essere
stata trascinata dal suo rapitore, forse passando per una zona
impervia del tragitto, andando dal luogo del rapimento al posto
in cui si trovava, o di essere caduta sulle proprie ginocchia subito
dopo l’abbraccio soporifero del maniaco.
Non aveva più le scarpe, ed era sparita anche la larga borsa griffata in cui riponeva solitamente il book con le sue foto in costume da bagno: compagno fedele di decine di provini, durante le
pazienti esplorazioni tra gli uffici di casting in cerca della tanto
agognata svolta nel mondo dello spettacolo. Per il resto, stava
bene.
Almeno non mi ha violentata! pensò sentendosi ingenua per quel
suo flebile tentativo di evidenziare a tutti i costi un aspetto positivo in quella situazione da incubo.
O meglio, ancora non mi ha violentata…! aggiunse rapidamente
cercando di recuperare un doloroso ma necessario realismo che
l’avrebbe messa in guardia, d’ora in poi, nei confronti di qualsiasi
rumore sospetto, ambasciatore di cose terribili non ancora verificatesi.
Non rimase a lungo accanto al materasso.
L’angolo in alto, compreso tra due pareti e ciò che sembrava fosse un soffitto, da cui proveniva il fascio di luce elettrica, attirava
la sua curiosità così come un lampione cattura l’attenzione della
falena nell’oscurità della notte. La ragazza avvicinandosi lentamente alla luce si accorse che, al di sotto del faretto che l’emetteva, vi era una telecamera collegata al muro, tramite un breve
braccio metallico: una telecamera come quelle usate nelle banche per controllare i clienti o nelle strade delle città, esternamen19