SB Storie Bizzarre SB 23 | Page 17

(Dante Alighieri, La Divina Commedia Inferno, Canto XXXIII, 67-74) Quando riaprì gli occhi, l’unico ricordo ancora persistente nella sua mente confusa e spaventata era quello di un fazzoletto bianco piegato e dallo strano odore mentre si avvicinava minacciosamente tra naso e bocca. Non aveva avuto nemmeno il tempo di capire a quale specie di essere umano appartenesse la grossa e vigorosa mano che lo sosteneva nel palmo. Fu un attimo e la sequenza successiva consistette in un classico tunnel nero da anestesia con eco annessa. Poi seguì il nulla audiovisivo. Il risveglio in quella stanza buia non fu più incoraggiante dell’oblio: si ritrovò distesa supina su un vecchio materasso maleodorante poggiato in terra; la bocca impastata di dolce saliva al cloroformio e polvere, e un bruciore sottile ma fastidioso proveniente dagli arti inferiori. Il posto non era completamente buio, come le era sembrato durante i primi secondi dall’apertura delle LA CASA DEL GRANDE FRATELLO DI MICHELE NIGRO Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso à piedi, dicendo: “Padre mio, ché non mi aiuti?”. Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’io cascar li tre a uno a uno tra ‘l quinto dì e ‘l sesto; ond’io mi diedi, già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. 17