Lo condusse attraverso tutta la sterminata collezione di libri e
giunto a uno scaffale occupato da una quarantina di volumi rilegati in pelle, ne sollevò uno, rivelando così la presenza di una botola nascosta proprio sotto di loro. L’aprì e gli fece strada, stringendo tra le mani una torcia.
Scesero ben duecentocinquanta scalini, in condizioni a dir proco
precarie, senza aria e con una luce minima che, quando illuminava il volto scarno di Valaraukar, disegnava sul mento spigoloso e
sugli zigomi pronunciati delle ombre simili a diavoletti ribelli che
danzano attorno a un pallido fuoco.
Dopo quell’interminabile discesa, Valaraukar finalmente si fermò innanzi a una porta d’acciaio su cui era inciso: Mäwqh Osha
Saak-gaalrűd Phashali Hor-tan.
Era la porta degli Inferi. Era una delle porte degli Inferi, poiché
un luogo così maledetto, non poteva avere solo un ingresso. Valaraukar aveva oltrepassato quel limite una sola volta, quando
aveva giurato fedeltà all’Oscuro Signore e aveva versato il proprio sangue nel fiume Ithoragtan, un fiume in cui sangue, fango e
lava formavano un unico liquido; lì Valaraukar aveva conosciuto
il Male e l’orrore più profondo, anche se non si era trovato mai al
cospetto di Coluiche-sussurra-nelle-tenebre, ma trovarsi dove lui
dimorava era più che sufficiente.
Così, mentre Valaraukar raccontava al giovane Adam cosa aveva
provato quando aveva varcato le soglie degli abissi questi, ancora con il volume che parlava della sua nascita sottobraccio, aveva avuto una visione folgorante del libro stesso che attraversava
Ithoragtan restando perfettamente asciutto e intatto; anzi, a contatto con il fiume, il libro cresceva di dimensioni fino a diventare
un gigantesco volume su cui Adam avrebbe potuto navigare e
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