aggrappato al parapetto della scalinata, facendo capolino,
vidi la sua bocca spalancata in laida smorfia, le palpebre
avvizzite sulle orbite sempre scevre degli occhi. Ricordava
le maschere dallo sguardo vacuo alla vigilia d’Ognissanti,
pendule sulle vetrine dei negozi ai lati della strada. Poi ci
fu il rumore di qualcosa che urtava contro la balaustra,
e nient’altro; più tardi, gli agenti trovarono una dentiera
impiastrata di terra e resina, accanto al cadavere. La polizia
rilevò il morto e mi interrogò; nessuno seppe dirmi dove
fossero la cariatide cieca e il secondo uomo. Circa un’ora
dopo, poco prima della mezzanotte, andai a letto. Ebbi
gl’incubi: dissezionavo un mio parente e ne distribuivo i
pezzi in secchi d’acqua gelata, e i brani che non ci stavano
li infrattavo dietro qualche polveroso mobile. Alla tv c’era
questa donna nuda che aveva una cerniera posta a chiusura
della pelle dall’inguine allo sterno: l’apriva dischiudendo
due grossi lembi di carne, per mostrare le viscere. Eppure
non sanguinava.
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