raramente pulita, odorava di cibo. Ai piedi del materasso la
discreta presenza di una consolle per videogiochi collegata
a un televisore eternamente acceso su un canale qualsiasi,
quando non impegnato in battaglie cosmiche e lotte
sanguinose tra energumeni virtuali, denunciava l’attività
principale dell’abitante, durante le numerose elettriche
notti bianche.
Nella parete opposta a quella della finestra, quasi sempre
serrata per timore che la luce solare potesse causare la
resurrezione di nascosti e scomodi ormoni collegati al ritmo
circadiano, un’ampia scrivania, residuo di sofferti studi
infantili, ricoperta di libri ignorati, gadget dei supereroi in
voga e una parte della sua scorta industriale di manga: il
pane quotidiano degli otaku6. Su una sedia, quasi a mò di
bibbie pronte per l’uso, le versioni in lingua giapponese
dell’“Elogio della fuga” di Henri Laborit e l’insuperabile
“Viaggio intorno alla mia stanza” del francese Xavier de
Maistre (“… com’è lontana la Francia da questa angusta
stanza, eppure così vicina su internet…!”).
Dallo stereo le parole di una canzone di Ayumi Hamasaki
scivolavano languide sui cumuli di panni sporchi sorti un
po’ ovunque negli angoli della stanza-parcheggio: “… pur
sentendo un pensiero da esprimere, non sempre riesco a dirlo…”
- cantava la pop star dall’alto dei suoi ipervitaminici ventitrè
anni, interpretando le gioie e soprattutto i turbamenti
dell’inquieta gioventù nipponica.
Vassoi con scatole di cibo aperte da tempo e in parte
consumate; cellulari di ogni forma e marca per comunicare
con gli “amici” e per allontanare l’ipotesi insostenibile di
rimanere isolati - anche dal punto di vista tecnologico, al di
6 Otaku: giovani giapponesi maniaci di tecnologia e fumetti manga…
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