Kiro, prima di ogni altra cosa, aveva ormai perduto il senso
del tempo e dello spazio.
I “ritirati sociali” rappresentavano, in un Giappone post
bellico teso in una spasmodica ricostruzione, cominciata da
molti decenni e partita dalle ceneri radioattive di Hiroshima
e Nagasaki, la corposa schiera dimenticata di coloro i quali,
non sapendo sostenere l’opprimente richiesta di uno spirito
competitivo in una società tecnologicamente agguerrita,
avevano scelto un solitario suicidio mentale da commettere
comodamente a casa tra le lenzuola sporche, i videogames
e una televisione vomitante programmi trash. Perdendo
qualsiasi occasione di relazione con gli altri.
Kiro era uno di loro: aveva “deciso” di essere un hikikomori;
non usciva mai di casa, temeva il confronto diretto e il
trovarsi faccia a faccia con l’altro. E la sua salute mentale,
prevedibilmente, era da tempo appesa a un esile filo. Avrebbe
potuto anche lui cercare un posto nella vita e ribellarsi ai
padri spaccando vetrine, organizzando sit-in contro il Primo
Ministro, suonando musica rock e fumando erba come era
già successo in altre parti del mondo e in altre epoche; o
come stavano già facendo da tempo molti suoi coetanei
in Giappone. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe potuto
partecipare su Skype, utilizzando il tantō2 del nonno, ad
una sorta di harakiri3 collettivo organizzato via internet
insieme ad altri aspiranti suicidi… No, lui aveva scelto di
essere “semplicemente” un hikikomori. Il fattore scatenante
del suo “ritiro”, frettolosamente catalogato come pigrizia,
non era stato individuato con precisione: forse un’infelice
infanzia a base di juku4 o una pressante carriera scolastica
2
Tantō: coltello tradizionale giapponese con lama di 30 cm utilizzato durante il seppuku o harakiri.
3 Harakiri: suicidio.
4 Juku: lezioni private di materie scolastiche per i giovanissimi “studenti” dell’asilo.
32