L’Abisso non voleva lasciarlo. Lo ghermiva con chele invisibili
ma affilate al punto da strappargli brani di carne ad ogni
passo.
Bboar ruggiva minaccioso, pur sapendo che così facendo non
avrebbe ottenuto altro risultato se non quello di consumare
energie, invano. Ma non poteva farne a meno. Solo l’ira era
rimasta a sorreggerlo.
Lungo la marcia si imbatté in divinità decadute.
Spettacoli disarmanti nella loro veste di profezie capaci di
rivelare uno dei suoi possibili futuri.
Così come aveva predetto il Dio Guerriero, le deità erano
ridotte a vuoti simulacri di ciò che erano state un tempo.
Abbruttiti, privati dei propri connotati divini, sminuiti a
anime mortali, se ne stavano riversi al suolo al pari di inermi
pietanze servite al banchetto dissennato dei demoni.
Il rumore delle mandibole delle ombre lo tormentò ben oltre
il tempo che fu necessario per allontanarsi dalla zona.
Provò pietà per quelli che un tempo furono suoi simili, ma
anche disgusto per la loro pochezza, ora che le avversità
avevano messo alla prova la loro tempra.
Fu costretto a combattere branchi di demoni, paure ataviche
e forze capaci di far leva sui nuovi sentimenti che ancora era
ben lungi dal padroneggiare.
Solo la determinazione ferrea gli concesse di non fermarsi.
Sapeva che le orde di ombre lo avrebbero risucchiato in
un conflitto eterno, una morte ripetuta infinite volte, in un
ciclo di rinascite che non gli avrebbe concesso mai una vera
redenzione.
Per la prima volta nella breve vita sperimentava appieno le
emozioni e i timori dei mortali.
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