della loro preda. I loro ansiti erano trasportati da una
flebile brezza maleodorante. Suoni ovattati ma rochi che si
mischiavano al pulviscolo di cenere aleggiante nell’aria.
Il Nuovo Dio detronizzato si muoveva con lentezza, in un
ambiente privo di punti di riferimento, e senza una meta cui
agognare. Era mosso solo dalla convinzione che stare fermo
equivalesse a smarrirsi, per sempre.
Marciò per giorni. Una gamba innanzi all’altra fendendo
l’oscurità, cercando di tenere a freno i nuovi sentimenti che
gli squassavano il corpo.
Prese confidenza con un diverso concetto di Tempo, che la
condizione attuale gli imponeva. L’infinità che era stata il
suo orizzonte temporale, non gli pareva più così allettante,
ora. Vagare in quell’antro privo di confini era mortificante
e l’idea stessa che quel tormento potesse non avere fine lo
atterriva fin quasi a fargli desiderare la propria estinzione.
Ogni mossa era una battaglia da vincere con caparbietà.
L’aria stessa si addensava mutando in muraglia invalicabile.
Le grida di giubilo dei Thag-hai, i suoi guerrieri sacri erano
un’eco lontana. Immagini di uomini dai volti pitturati di
nerofumo e agghindati con pelli d’orso gli balenarono nella
mente, facendolo sorridere come una donnetta innanzi al
proprio sposo novello.
Bboar se ne stupì, ma non cessò per questo di muoversi. Era
l’unica possibilità.
Non c’era scelta e questo per un Dio era il peggiore degli
scenari, impensabile e avvilente.
Comprese il valore dei doni che aveva fatto al proprio
Divinatore, rendendolo parte di verità che andavano oltre lo
scibile umano. Regalie che adesso avrebbe fatto comodo a
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