Rassegna Stampa 4-48 PSYCHOSIS di S- KANE(ARVIGO CALVANI)doc07-03-2014-2.pdf Apr. 2014 | Page 6

Il fascino morboso di Sarah Kane All' Argot «4.48 Psychosis» con Elena Arvigo e la regia di Valentina Calvani In questa cronaca si intrecciano tre storie. La prima concerne il teatro, l' Argot, che ospita «4.48 Psychosis» di Sarah Kane. A scorrerne il programma si intravede qualcosa di nuovo, tanti giovani registi e attori. Peccato, allora, non aver visto i due spettacoli precedenti, un Berkoff e un LaBute: due autori poco frequentati. Ma ora se l' atto unico di Sarah Kane non è una novità, lo è lo spettacolo. «4.48 Psycosis» è diventato (questa è la seconda storia) il banco di prova di attrici, giovani e meno giovani. Metterlo in scena, da un punto di vista produttivo, è semplice; però, ad attrarre, c' è qualcosa di più. Anche gettando un' occhiata al pubblico, lo si capisce: un pubblico femminile, quasi tutte ragazze. C' è insomma una specie di attrazione segreta, se non morbosa, che è pure il rischio di «4.48 Psychosis». Si tratta di un' energia al limite, contagiosa. La protagonista è, come recita il titolo del primo dramma della Kane, «Blasted», scoppiata, o dannata. Il suo tema è la possibilità di porre fine alla propria vita - come in effetti poco dopo l' autrice fece. E proprio questo è ciò che di morboso attira interpreti e spettatori: che il confine tra il teatro e la vita sia così impalpabile. Tornano alla mente le attrici che si sono misurate con «4.48 Psychosis» (è la terza storia): la prima, e più asciutta, Monica Nappo. Poi Giovanna Mezzogiorno, Giovanna Bozzolo, Valentina Capone e Isabelle Huppert. Ora Elena Arvigo è diretta con scansioni millimetriche da Valentina Calvani, sapientissima nell' uso delle luci e della colonna sonora. Se non ricordo male, nelle altre interpretazioni di questo testo, non c' era musica; e non c' erano neppure scenografie. Qui c' è addirittura, in alto, lo specchio inclinato che, come narrano le cronache, c' era nella prima assoluta del 1999 al Royal Court di Londra. E ci sono tante altre cose: tre lampadari a terra, due sedie, una scala, corde che pendono dal soffitto, specchi infranti e due quinte che vanno a chiudersi, a mettere la protagonista nell' angolo. Lei è lì, tenta di sottrarsi. Se ne sta accucciata, poi si alza, fa qualche cauto passo, si siede ora su una sedia, ora su un' altra. Sembra un animale in gabbia, mormora la sua disperazione ingolata e rauca, piange, le sue parole non sono che frammenti, come quelle schegge di vetro che circoscrivono il suo dolore. Franco Cordelli